fuoridalpalazzo

04 novembre 2008

Ciclisti urbani



Erano mesi che volevo incollare qui sopra questo video dall'effetto ipnotico (almeno per me) soprattutto a causa della musica (almeno questo ho deciso dopo lunga riflessione). Ora ne ho l'occasione, con questo pezzo, qui sotto, che ho scritto sul giornale di domenica.

C’era nelle edicole trentine, ieri mattina, questo titolo di giornale dall’effetto agghiacciante, almeno sulle persone predisposte, che prometteva: «Arrivano i parcheggi per le bici». E fin qui tutto bene, a patto di ritenere che questa sia una necessità. Ma la mazzata arrivava al momento di leggere il sottotitolo: «Ecco i prezzi». Come scusa? I prezzi. Oppure le tariffe, come recitava un altro giornale raccontando la decisione della giunta comunale.
Detta così sembra la cronaca di una delibera allucinante che porterà i ciclisti urbani a scendere dal sellino e cercare in tasca la moneta da infilare nel parchimetro. Per fortuna andrà diversamente: pagheranno quelli che vogliono lasciare in sosta la bici alla stazione ferroviaria, chiusa in un recinto sorvegliato dalle telecamere, al riparo dalla pioggia e soprattutto dai ladri. Pagheranno poco: 50 euro l’anno, oppure 7 euro al mese, oppure 2 euro al giorno (e quest’ultima tariffa in realtà mi pare un furto). Oppure non pagherà nulla il ciclista che avrà in tasca anche l’abbonamento del trasporto pubblico. Ma per la prima volta nella storia passerà il principio che è possibile chiedere a un pedalatore di tirare fuori i soldi. Parlo da ciclista urbano per necessità e passione: sono convinto che sia giusto il contrario.
Non solo il Comune dovrebbe costruire i parcheggi e affidarceli gratuitamente (telecamere comprese) ma dovrebbe anzi pagarci. Insomma, meritiamo un premio Qualcosa di più rispetto agli omaggi sorteggiati l’estate scorsa tra i dipendenti pubblici che andavano al lavoro pedalando.
Finora abbiamo pensato che il nostro premio fosse la libertà impagabile di sfrecciare per la città misurando il tempo in manciate di minuti. Noi siamo quelli che da piazza Duomo all’ospedale Santa Chiara ci mettiamo cinque minuti e non dobbiamo cercare il parcheggio. Noi siamo quelli che da Cristo Re al centro storico ci mettiamo sei, sette minuti. Noi siamo quelli che una volta, alla vista del vigile urbano, dovevano smontare al volo in via Belenzani perché c’era il senso unico. E invece ora pedaliamo avanti e indietro grazie a un cartello che ce lo consente: grande vittoria, continuiamo pure ad allargarci.
Noi pensavamo che il nostro premio fosse questo: tempo, libertà e in fondo anche denaro perché il mio contachilometri (lo uso anche in città) in un anno segna più di 3 mila chilometri, pedalati tutti in centro, distanza che tradotta in benzina vale almeno 300 euro. Certo se mi rubassero la bicicletta mentre scrivo questo articolo, fatto purtroppo da non escludere, andrei solo in pareggio.
Ma ora che la giunta comunale ha studiato per noi le nuove tariffe, vorremmo replicare (parlo per tutta la categoria) mettendo in conto qualcosa a nostra volta. Non siamo mica in Giappone, dove ci sono parcheggi multipiano dedicati alle due ruote, oppure a Londra, dove i ciclisti sono raddoppiati da quando hanno previsto il pedaggio per l’ingresso in centro storico. Qui - cari assessori - siamo a Trento città dove le mamme danarose fanno la fila in via Verdi ogni pomeriggio con il gippone (zona a traffico limitato a quanto mi risulta) per andare a prendere i bambini che vanno a scuola dalle suore. E noi ciclisti respiriamo quei gas di scarico. Pedaliamo a chiappe strette in via Sanseverino per evitare che i camion ci facciano finire nell’Adigetto (per fortuna ora c’è il muro). Saliamo in sella anche con la pioggia, non perché siamo dei duri, ma perché rinchiuderci nell’auto ci renderebbe troppo tristi, e speriamo che le auto non ci facciano la doccia alla prima pozzanghera. Facciamo lo slalom tra gli alberi in quelle che il Comune chiama piste ciclabili e che in realtà sono solo strisce rosse disegnate sull’asfalto. Quando ci rubano la bici compriamo Bazar e ne cerchiamo un’altra usata con cui gettarci con incoscienza nelle rotatorie a doppia corsia che hanno invaso la città. Fosse per noi il maxi parcheggio di via Sanseverino potrebbe essere un parco con laghetto invece di una distesa di lamiere colorate. E corso Tre novembre sarebbe un viale alberato dove andare a passeggiare come i nostri bisnonni ai primi del Novecento. Non chiediamo (quasi) niente a nessuno, felici di muoverci in libertà, ma non fateci mai pagare il pedaggio per lasciare la bici al sicuro dai ladri. Caro assessore comunale, perché non costruisce il bicipark (e molte più ciclabili) con i soldi presi agli automobilisti? La giurisprudenza europea ha stabilito già da tempo un principio sacrosanto, riferito a vicende molto più rilevanti ma che vale anche per le piccole cose: «Chi inquina paga». Sarebbe assurdo trovare il modo di far pagare chi invece non inquina.

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05 ottobre 2008

Dentro il tunnel


Per chi fosse interessato a sapere qualcosa in più sulla strada del Doss Trento, di cui parlavo in questo post, l'appuntamento è giovedì 9 ottobre alle 17 nelle gallerie sotto il Doss Trento (tunnel bianco). Ci saremo io e Filippo Degasperi a presentare il libro "La strada degli alpini", ma ci sarà soprattutto Franco Martignoni (uno che c'era, uno degli ultimi) a raccontare la storia di cui fu protagonista con l'aiuto delle fotografie dell'epoca. Grazie a chi vorrà partecipare!

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Sudati risparmi

Diciamo la verità: ci hanno raccontato un sacco di panzane. A cominciare da quella sui titoli argentini, quando sembrava che fosse l'investimento più sicuro perché, caro il mio risparmiatore, ha mai visto uno stato intero finire gambe all'aria? Come è andata lo sappiamo. Poi c'è stata quella sulle obbligazioni Cirio e Parmalat, investimenti sicuri perché dietro ci sono le aziende, vacche, latte, pomodori, mica titoli virtuali come quelli della rete. E se non è convinto - caro il mio risparmiatore - guardi un po' questo rapporto: parliamo di aziende AA+, più sicuro di così c'è solo il materasso, parola di grandi esperti che di mestiere leggono i bilanci e sono in grado di distinguere tra le imprese solide e quelle da evitare. Come è andata lo sappiamo.
Infine la panzana sui tassi d'interesse a cui - controvoglia - ho creduto anch'io perché aprire un mutuo a tasso fisso sembrava una cosa da sfigati. Parliamo di cinque, sei anni fa. Nemmeno pronunciarla in banca quella parola, tasso fisso, perché i bancari si voltavano per squadrare lo zoticone che non capisce niente di finanza. Inutile spiegare che il 5 per cento sicuro per dieci anni suonava come un buon affare. Era il periodo in cui il denaro sembrava gratis, bastava avere fiducia e sarebbe andata ancora meglio: firmi qui, tasso variabile e - caro il mio risparmiatore - si assicuri le magnifiche sorti (e progressive) che l'economia ci riserverà nel prossimo futuro. Abbiamo visto, ancora una volta, come è andata e in fondo c'è poco da stupirsi: la strada consigliata dalle banche è quella che si è rivelata più vantaggiosa... per le banche.
Così quando nei giorni scorsi abbiamo visto la nostra banca (la nostra grande e orgogliosa banca col palazzo di mattoni in centro storico! mica quella del cugino americano!) perdere in due mattine un valore di decine di miliardi di euro, ammetto che ci siamo un po' agitati. E leggendo i giornali la mattina ci è cresciuta dentro l'indicibile domanda. Allora siamo andati in quella via del centro per vedere se il palazzo era ancora al suo posto. C'era. C' erano anche gli operai che stavano lavorando - diceva il cartello - per rendere la filiale più confortevole e funzionale. Almeno loro avevano fiducia, proprio come i dipendenti della Lehman Brothers il giorno prima di lasciare l'ufficio con la scatola di cartone fra le mani. Pareva tutto tranquillo, ma poiché l'indicibile domanda si faceva prepotente, ho preso il telefono e ho chiamato un numero verde (che altro dovevo fare?) per chiedere informazioni sulla sorte dei miei quattrini: scusi signorina, che ne sarebbe dei miei (sudati) risparmi investiti in pronti contro termine, l'investimento (parole vostre) più sicuro, se il vostro istituto di credito, insomma la vostra banca, che al momento mi pare un po' in difficoltà, dovesse, diciamo così, giusto per essere chiari, perdoni la schiettezza, FALLIRE? Signore, mi ha risposto, non dica mai più quella parola, nemmeno per scherzo, che poi qualcuno ci crede davvero. Non ha sentito il nostro amministratore delegato alla televisione quando ha detto che siamo liquidi e solidi?
Liquidi e solidi, ha detto proprio così la signorina, che ossimoro fantastico: andatelo a spiegare a uno che, invece della finanza, al liceo ha studiato fisica e matematica. Messa alle strette la signorina ha confessato che i miei pronti contro termine, nel caso di impossibile fallimento (ha pronunciato sottovoce l'oscena parola) li avrei persi per sempre. Ma non dovevo pensare al peggio perché non basta una tempesta finanziaria a mettere in difficoltà un gruppo così grande e poi a difendere le banche italiane, in caso di guai, ci pensa Berlusconi, l'ha scritto anche il giornale. Signorina, riporti tutti i miei soldi sul conto corrente, ho ordinato in preda all'ansia, consapevole che in questo modo avrei perso qualche punto d'interesse. Ma cosa sono gli spiccioli di fronte alla catastrofe? Poi ho chiuso la comunicazione e - poiché io sono un mago della finanza - ho controllato sul telefonino il titolo della mia grande banca che come per miracolo recuperava almeno la metà del valore perso il giorno prima, con un'altalena incredibile, misurabile ancora una volta in decine di miliardi. Per certe cose bisogna esserci tagliati.

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23 settembre 2008

La stangata dei navigatori

schermata tim
Poi dicono che la diffusione internet non decolla, nemmeno con l'uso dei cellulari che tutti teniamo in tasca. Non ne dubito. Anzi racconto una vicenda che può servire a capire perché prima di collegarsi alla rete con il telefonino è meglio pensarci due volte.
I fatti. Poiché ho sviluppato un certo grado di dipendenza dalla rete (ormai guardo le ultime notizie di repubblica.it anche quando sono seduto sulla tazza del bagno) ho subito attivato l'offerta MAXXI ALICE WEEK CRM che con 1 euro appena mi avrebbe consentito di navigare in rete per 30 giorni fino a un tetto massimo di traffico di 200 mb (che per la navigazione con il telefonino sono più che sufficienti).
Non sono uno sprovveduto: prima di navigare in libertà ho chiesto informazioni sulle condizioni dell'offerta a un paio di operatori del 119 (di uno solo non mi fidavo) che mi hanno confermato che gli unici due vincoli erano i 200 mb e il punto di accesso a internet che doveva essere necessariamente wap.tim.it. Detto fatto: ho addirittura cancellato dalle configurazioni del telefonino l'altro punto d'accesso (ibox.tim.it) in modo da evitare costosi "dispiaceri", già sperimentati di persona in passato, e ho cominciato a navigare.
Immaginate la sorpresa quando mi sono trovato il credito sotto zero, due giorni dopo aver ricaricato 30 euro. Ho telefonato subito al 119 per chiedere spiegazioni e tre giorni dopo è arrivata la soluzione del mistero da parte di un operatore tecnico di Tim Padova (che mi ha trovato preparato). Ecco i passaggi principali della conversazione.

tim Padova: buongiorno
ansel: buongiorno
tim Padova: abbiamo scoperto il motivo degli addebiti che lei ci ha contestato
ansel: dica pure
tim Padova: lei ha spedito delle email con il suo cellulare
ansel: naturalmente. e quindi?
tim Padova: non poteva. l'offerta prevede solo la navigazione sul web
ansel: non mi risulta. due vostri operatori mi hanno detto che l'importante era usare il punto d'accesso wap.tim.it e sul vostro sito internet si parla genericamente di "traffico dati" fino ad un limite di 200 mb. i messaggi email sono traffico dati?
tim Padova: direi di sì signore...
ansel: è stato superato il limite di 200 mb?
tim Padova: direi di no signore...
ansel: e quindi perché mi è stato addebitato il traffico?
tim Padova: non lo so signore. assumo altre informazioni e la richiamo...
ansel: prego

tim Padova: signore, fermo restando che lei non potrà più spedire email all'interno della nostra offerta, l'azienda le vuole venire incontro rimborsandole 15 euro da consumare entro 30 giorni.
ansel: stia tranquillo, non ci penso nemmeno a spedire piccole fotografie via email a 12 euro l'una (anche se a leggere le condizioni ne avrei pieno diritto, GRATIS)... per quanto riguarda il risarcimento sta scherzando? io ho perso circa 30 euro, ho dovuto ricaricare (mio malgrado) il telefonino e ora lei me ne propone 15 per di più a scadenza?
tim Padova: assumo altre informazioni e la richiamo, signore
ansel: prego

Finale: la trattativa si è conclusa con una ricarica di 30 euro e tante scuse. Ma sul sito della compagnia telefonica l'offerta continua ad essere pubblicizzata in modo ingannevole e migliaia di clienti Tim continuano a navigare con l'incubo di superare il traffico assegnato (qualunque sia la loro offerta) e di ritrovarsi centinaia o addirittura migliaia di euro addebitati: nessun messaggio, nessun avviso, per rendersi conto di quello che sta succedendo bisogna attendere la stangata. L'operatore dice che ci stanno lavorando, ma in realtà gli "errori" dei navigatori fanno comodo alla società. E quando non ci sono errori - come nel mio caso - ci pensano loro a metterci lo zampino.

P.S. e ora attendiamo che Google (o qualche altro blog) contribuisca a diffondere la voce.

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19 settembre 2008

Falliti e contenti

dipendenti alitalia felici e fallitiGuardo incredulo le immagini dall'aeroporto di Fiumicino dove i dipendenti Alitalia esultano per il fallimento delle trattative per il salvataggio della compagnia: "Meglio falliti che in mano a 'sti banditi" urlano felici.
E' bello quando le trattative sul lavoro si concludono in maniera positiva.

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08 settembre 2008

L'ortografia della maggioranza

Mi sono letto questo articolo di Federico Rampini e mi è venuto in mente che Google ha modificato anche il modo in cui decidiamo di scrivere una parola. C'era una volta il dizionario (o l'enciclopedia), oggi si fa molto prima con il motore di ricerca: si scrive Irak o Iraq? Tailandia o Thailandia? Ciliege o ciliegie? Province o provincie? Decide la maggioranza, nel dubbio scegliamo la strada della massa: giusta o sbagliata ci sono meno possibilità di fare brutta figura. Per fortuna Google ci avvisa ancora che se digitiamo "provincie" forse (ma forse) volevamo dire "province", ma intanto "un pneumatico" batte "uno pneumatico" 97.000 a 8.380, è l'evoluzione della lingua, si rassegnino i puristi.

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27 agosto 2008

La città d'alta quota

rifugio dolomitico affollatoAlle 10 del mattino il parcheggio del rifugio dolomitico - si fa per dire, rifugio, visto che ci si arriva in auto - è identico al parcheggio cittadino, cioè pieno zeppo. L’unica differenza è che in città c’è chi rischia la multa lasciando l’auto in doppia fila mentre in montagna - a ferragosto - si può sempre sconfinare nei pascoli, come fanno quelli con il fuoristrada, felici - finalmente - di dare un senso alla loro autovettura. C’è un’altra differenza - volendo essere precisi - tra il parcheggio del rifugio dolomitico e quello cittadino ed è il valore delle auto in sosta che in montagna - a ferragosto - è così sfacciatamente alto che i titoli dei giornali sulla crisi pare si riferiscano a un altro paese. Dal parcheggio del rifugio dolomitico al rifugio dolomitico ci sono tre minuti a piedi lungo un sentiero di terra battuta e sassi, con mucche ai lati che fanno molto montagna. Sentiero battuto da due categorie di persone: quelli che credono di essere in montagna e quelli che vorrebbero molto essere in montagna ma per motivi vari si ritrovano, soffrendo, in queste città d’alta quota che si formano pochi giorni all’anno. Nelle città d’alta quota la gente parla di argomenti cittadini, perché quando si va in vacanza per tre giorni (e non due settimane o un mese) non si può chiedere al cervello di staccare la spina per poi riprendere il ritmo con fatica. Dirò così quello che ho origliato - mio malgrado, colpa del volume troppo alto - in una di queste città d’alta quota in cui mi sono ritrovato. Gli uomini parlano nell’ordine di lavoro, trasporti e soldi. Le donne parlano nell’ordine di figli, vacanze (non quelle che stanno facendo, quelle che hanno già fatto o faranno) e soldi. Soldi che - qualunque sia l’auto lasciata in sosta nel parcheggio - sono sempre troppo pochi. Così nella città d’alta quota si impara qual è la strada e l’ora migliore per arrivare lassù azzeccando una partenza e un ritorno intelligenti, dove fare benzina per risparmiare qualche centesimo, dove bisogna fermarsi per mangiare un panino, quale sia la tariffa migliore per telefonare o mandare messaggi, quanto siano stronzi i capi (o i dipendenti, dipende da chi parla), quale sia la migliore scuola di musica nella città di bassa quota e quale sia l’istruttore di tennis più capace. Delle vacanze in montagna - magari per consigliarsi a vicenda un sentiero da percorrere oppure un valle da esplorare - non si parla, tanto per le nuove scoperte non ci sarebbe il tempo. Si dibatte invece a lungo sulle tariffe del residence o dell’albergo, tema su cui ognuno è segretamente convinto di aver trovato un’occasione migliore del vicino. L’altro giorno, più o meno a metà pomeriggio, è successo qualcosa nella città d’alta quota di cui ero un triste cittadino. Forse coordinati da un tam tam di cellulari - Telecom Italia Mobile conosce i suoi polli e fa arrivare fin sotto le vette le onde 3g - o alla meno peggio Edge - che servono per connettersi a internet con i telefonini - gli abitanti si sono riuniti davanti all’unico televisore del rifugio (si fa per dire rifugio, c’è anche la tivù) per vedere la finale olimpica della staffetta 4x100 metri piani. Una gara di trentasette secondi appena, tra le più brevi di tutti i giochi olimpici, talmente veloce che per capire veramente com’è andata, con tutti quei passaggi di testimone a fare confusione sullo schermo, bisogna rivederla due o tre volte al rallentatore, l’ideale per gente che mangia al fast food e si gode vacanze mordi e fuggi. Così una piccola folla di commissari tecnici mancati si è goduta, a 2 mila metri di quota, l’incredibile gara di un giamaicano che ha corso in scioltezza la sua frazione con meno tensione di quanta ne avessero i suoi spettatori nel rifugio dolomitico. Da quel momento in poi lassù si è parlato solo di Usain Bolt, dei suoi record mondiali e dei suoi sponsor milionari. Tutti parlavano di lui, tranne i bambini più piccoli (quelli cresciuti erano già corrotti), gli unici che lì fuori si erano accorti che le mucche attorno al sentiero erano vere e con un po’ di attenzione si poteva persino toccar loro la coda.

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28 luglio 2008

La discoteca di Sardagna

raggio laser dall'hotel panorama di sardagnaChiedo scusa all'arte, agli artisti, agli amanti del bello, ai sostenitori del nuovo e confesso: sono uno di quelli che l'altra sera ha pensato che a Sardagna avessero aperto una nuova discoteca. Tornavamo da Rovereto quando - all'altezza di Mattarello - abbiamo visto quel raggio luminoso attraversare la valle dell'Adige puntando su Povo, Cognola e Martignano per poi tornare indietro e ripetere il suo giro. Poiché so bene che lassù c'è l'hotel dell'Università ho immaginato che forse c'era una festa, un convegno di scienziati impegnati in chissà quali misurazioni oppure - come mi hanno fatto notare gli altri passeggeri - erano i vigili del fuoco che cercavano un disperso facendosi luce con le fotoelettriche. Solo una volta giunti in città - dopo la telefonata di un collega che sperava di fare con me chiarezza sul mistero - abbiamo saputo il perché di quel raggio laser: "Signore e signori, quella è arte" ha detto divertito uno degli uomini che stava montando il tendone per la festa del rione. "Arte moderna" ha aggiunto facendo un ampio gesto con la mano.
Perché non ci avevo pensato prima io? L'installazione di Stefano Cagol, uno degli artisti della biennale Manifesta 7, si inserisce nel solco tracciato già vent'anni fa dagli illuminati avanguardisti che per primi disegnarono fasci di luce nel cielo per far riflettere l'uomo sulle distanze e per comunicare al mondo intero: noi siamo qui. Parlo di gente come il gestore della discoteca Saint Louis di Mezzolombardo, del suo collega di Andalo, dell'ex gestore del Waikiki di Gardolo e di centinaia di altri precursori che a livello internazionale - avanti anni luce persino sull'arte moderna - decisero, forse senza nemmeno saperlo, di inaugurare una nuova stagione artistica, fermati solo dagli amministratori pubblici che decisero di porre un limite a questa forma di espressione che - chissà perché - ripetuta ogni fine settimana a qualche retrogrado dava fastidio.
Salito a casa, poiché mi bruciava ancora l'aver confuso l'arte vera con una volgare discoteca, ignorante più che mai, ho acceso il computer e mi sono collegato a Wikipedia (ognuno ha i mezzi che si merita) per imparare qualcosa sull'artista. Così ho letto che "Cagol mette in evidenza la contraddittorietà di elementi e situazioni simboliche dell'oggi, e il mutato sistema di valori del momento attuale attraverso un'elaborazione digitale minima o attraverso istallazioni site-specific d’arte pubblica e performance". Illuminante.
Alle lavatrici di piazza Duomo c'ero arrivato anch'io, sebbene un po' contrariato perché nemmeno un cartello mi avvisava che lì sotto scorre ancora la roggia dove le trentine di una volta lavavano i panni sporchi in piazza: io lo sapevo, ma i turisti? I graffiti di Laurina Paperina mi hanno trovato preparato perché tra i miei amici c'è un suo grande ammiratore, invece la prima mattina dell'evento ho guardato distrattamente le pubblicità artistiche mentre correvo in bicicletta all'asilo (dove io e il piccolo arriviamo sempre ultimi) pensando che in quei cartelloni mancava qualcosa, tipo la marca del prodotto. Colpa mia, lo ammetto, ma il raggio laser no: l'unica cosa che ci vedo di geniale è il modo in cui l'artista è riuscito a convincere i curatori della biennale e la Provincia (che dell'hotel di Sardagna è la proprietaria) a far installare il proiettore per quest'imitazione dei discotecari anni Ottanta che guidando i clienti con le loro stelle comete artificiali hanno fatto i soldi, senza mai cadere nella tentazione di definirsi artisti.
Siamo gente semplice. Vediamo le cose per ciò che appaiono. Ho letto sul giornale che l'arte moderna non è educata e non chiede scusa, parola dell'assessore provinciale. I trentini invece sono educati eccome: finirà che vedranno una carcassa d'auto insanguinata, una rana impiccata o crocifissa, un asino volante, magari un mucchio di rifiuti per la strada come a Napoli e invece di chiamare i carabinieri (come hanno fatto in questi giorni quando incappavano in qualche stranezza) si fermeranno ad applaudire la presunta prestazione artistica temendo di fare brutta figura. Tuttalpiù - nel dubbio, indecisi su da farsi - tireranno dritto accelerando il passo.

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23 luglio 2008

Basf

compact cassette basfVia i vecchi nastri. Da tempo volevo farlo e la notizia che ho letto ieri mattina ha rinnovato in me la convinzione, anche perché il vecchio registratore è in soffitta già da tempo e non saprei come ascoltarli: prima che ci pensino le muffe contagiose farò io piazza pulita.
Sono passati quindici anni dall'ultima registrazione ma pare un secolo. Via i vecchi nastri, voglio vivere leggero senza reperti storici ad ingombrare la soffitta. Non rimpiangerò le vecchie compilation realizzate in casa con un registratore a doppia piastra e nemmeno quella cassetta impolverata in cui sono registrate le interrogazioni di italiano della 5 D (non si sente ormai quasi più niente). L'unica che mi dispiace gettare nel cassonetto è quella vecchia Basf arancione con il nastro consumato a forza di girare, ma ho già verificato che (quasi) tutto quello che mi serve lo ritrovo su YouTube.

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22 luglio 2008

Il paese dei miliardari poveri in canna

dollari e inflazione nello ZimbabweC'è un posto dove la gente ha molti soldi da spendere. Milioni. Miliardi di dollari. Prima di uscire di casa infilano pacchi di banconote nella borsa e se per strada ne perdono una da 100 mila dollari pazienza, non morirà nessuno. Il caffè può costare un milione di euro alla mattina, due milioni alla sera - naturalmente in dollari - perché i prezzi galoppano, nessuno si stupisce, ci hanno fatto l'abitudine. C'è gente che guadagnava 10 miliardi di dollari al mese e ha smesso di andare al lavoro perché i soldi non fanno la felicità in un paese dove anche le prostitute vogliono essere pagate in diesel: meglio una tanica di gasolio che una carriola piena di banconote.
Benvenuti nello Zimbabwe, paese africano che vale un viaggio per gli studenti di Economia che vogliono capire cos'è l'inflazione. Per rendere più semplice la vita agli abitanti il governo l'altro giorno ha coniato una nuova banconota da 100 miliardi di dollari, così almeno la gente può andare al panificio e comprare due filoni di pane con un pezzo di carta solo. Sperando di trovarlo, il pane.

P.S. Sulla banconota da 100 miliardi di dollari domenica ho trovato qualche trafiletto sui giornali, ma se volete approfondire le vicende dei dollari dello Zimbabwe date un'occhiata a questo pezzo.

P.S. Nella foto un bambino che va a comprare il latte.

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30 maggio 2008

Un libro che va a ruba

la storia degli alpiniQuesto è un post molto sofferto. Volevo vantarmi di aver scritto un libro, ma essendo un libro fotografico la parola scrivere mi sembrava fuori luogo. Allora ho pensato di vantarmi delle fotografie, ma poiché non sono mie, ma immagini storiche scattate nei primi anni Quaranta, quando non erano nati nemmeno i miei genitori (figuriamoci io) ho dovuto lasciar perdere. Un vanto però ce l'ho ugualmente: quello di aver raccolto centinaia di immagini - assieme al mio amico Filippo Degasperi - di aver cercato (e trovato) tre alpini ormai ultra novantenni che potessero raccontare questa storia e di aver fermato le loro parole su carta prima che sia troppo tardi.
Ma perché raccontare sessant'anni dopo la storia degli alpini che durante la seconda guerra mondiale costruirono la strada del Doss Trento per ordine del Duce? Per Filippo Degasperi la risposta è semplice: uno di quegli alpini era suo nonno. Per quanto riguarda me, mettiamola così: Filippo Degasperi è mio amico ed è stato un piacere fare qualcosa assieme. Non solo: quei tornanti scavati nella roccia li vedo dalle finestre di casa e mi è sembrato interessante far sapere che chi li ha realizzati - battendo la pietra a mano con martello e scalpello - si è salvato la vita mentre migliaia di soldati morivano al fronte.
Sarà meglio farla breve. Un'anteprima del libro la potete trovare su queste pagine del mio giornale (prima, seconda). Il libro lo potete trovare nelle principali librerie della città oppure qui. Non chiedetemene copie perché me ne hanno consegnate solo cinque: due le ho qui con me, una l'ho dovuta regalare, la terza e la quarta le ho portate in redazione ma qualcuno se l'è fregate perché, signore e signori, questo è un libro che va ruba.

Anche questa è fatta, vado in vacanza.

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18 aprile 2008

Pubblicità ingannevole

pubblicità ingannevoleNon contate le piccole Cinquecento che compongono la Cinquecento della pubblicità per vedere se sono veramente cinquecento. L'ho appena fatto io, non ho resistito: sono 542, non 500. Mai fidarsi dei pubblicitari, categoria su cui potete imparare qualcosa leggendo questo.

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14 aprile 2008

Vado a votare

al voto turandomi il naso
La tessera elettorale? Ce l'ho. Un documento di identità valido? Ce l'ho. La maschera antigas? Ce l'ho. E pensare che ai tempi di Montanelli bastava turarsi il naso.
Vado a votare prima che chiudano i seggi. Poi accenderò la televisione per godermi la sconfitta a cui ormai sono abituato.

P.S. con una breve ricerca su internet ho scoperto che l'espressione "turarsi il naso" che Indro Montanelli utilizzò per descrivere il voto alla Democrazia cristiana contro i Comunisti risale addirittura alle politiche del 1948 quando venne pronunciata da Gaetano Salvemini. Insomma, sono sessant'anni che noi italiani della Repubblica andiamo al voto insoddisfatti di chi si candida a rappresentarci...

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18 marzo 2008

Progresso tecnologico

Iomega ScreenplayIn materia di tecnologia c'è una vecchia teoria secondo cui il motore che porta gli utenti a dotarsi di strumenti nuovi sarebbe il porno (e al secondo posto lo sport). Accadde così per il videoregistratore, per la televisione satellitare, per internet e per il dvd. Ebbene io ho un'altra teoria, secondo cui l'aggiornamento tecnologico è spinto anche dall'arrivo in casa di un bambino.
In casa nostra installammo una rete senza fili dopo aver constatato (con un computer finito a pezzi) la propensione del piccolo play boy a tirare qualunque cavo gli capitasse a tiro (e così siamo stati tra i primi a navigare in libertà). Ora, considerato che il piccolo ha un'attitudine innata per distruggere i dvd, ci siamo dotati di un disco rigido che contiene 500 Gb di dati multimediali e con una presa scart (integrata) e un sistema operativo ridotto all'osso ti consente di vederli sulla televisione dove si può saltare da un cartone animato all'altro con un piccolo telecomando.
Non ne avrei mai scritto qui - fuoridalpalazzo! - se non fosse che altrove (ad esempio QUI di un apparecchio simile, ma non uguale, sono rimasti delusi. Niente di fantascientifico, per carità, semplicemente mantiene le promesse.
Parlo di quel coso che si vede nella foto sulla destra. In pratica un disco da 500 gigabyte che dopo averci messo tutte le puntate di Heidi, una cinquantina di film, una quantità imprecisata ma molto elevata di brani musicali, la terza e la quarta serie di Desperate Housewife (lo guarda la donna che la sera mi attende a casa "disperata") è ancora mezzo vuoto.
Per chi fosse interessato: Iomega Screenplay. Non mi pagano per scriverlo, ho pagato io - anzi - 199 euro quando a Natale sono passato da Mediaworld.

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14 marzo 2008

Da fuoridalpalazzo è tutto, a voi studio!

ansel intervista Giacomo SantiniNella vita bisogna sempre cercare di fare cose nuove... così mi sono dato ai video. Nella foto mi vedete con la mia mini telecamera acquistata su eBay mentre intervisto un candidato al Senato del Partito delle libertà (Giacomo Santini). Io sono quello con le camper. Un esempio di quello che sto facendo lo trovate QUI dove c'è la mia prima intervista doppia, oppure QUI dove c'è un video sulla campagna elettorale che ho girato dalla finestra della mia redazione. E così ora sapete perché da un po' di tempo scrivo meno e rispondo meno ai commenti! ;-)

P.S. ho visto che su internet non ci sono tutorial approfonditi su come realizzare e montare le interviste doppie stile Iene... quasi quasi quando ho un attimo di tempo ne scrivo uno io.

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11 marzo 2008

Mi rubano la corrente

contatore dell'energia elettricaMi rubano l’energia elettrica. Accade notte e giorno, me la fanno sotto il naso. Non volevo crederci, la settimana scorsa, quando insospettito da un articolo di Affari e Finanza ho deciso di fare la prova pratica: ho spento tutte le luci, ho spento pure la televisione, ho messo al minimo il termostato del frigo (in modo da escludere l’avvio del motore) e sono sceso in fondo alle scale per dare un’occhiata al contatore. Girava. Piano, ma girava.
Senza perdermi d’animo sono risalito al quarto piano: «Mi sarò dimenticato qualche cosa». In camera da letto ho staccato la radiolina, poi sono andato nel ripostiglio dove ho spento la caldaia e infine nel bagno per assicurarmi che non fosse partita la ventola dell’aerazione. Fiducioso ho raggiunto il pianerottolo dove, nell’armadio di legno chiuso a chiave, c’è il mio contatore: girava. Piano, ma girava.
A quel punto non c’erano più dubbi: ero vittima di un furto. Ma prima di correre a denunciare il fatto bisognava esserne sicuri. Così sono risalito e - come quella volta da bambino - ho accostato lentamente la porta del frigo guardando all’interno attraverso la fessura sempre più stretta, per essere sicuro che la luce si spegnesse. Si spegneva.
Il problema doveva essere altrove, ad esempio nella zona dei computer dove - mi sono ricordato - c’è un apparecchio sempre acceso che distribuisce internet senza fili in giro per la casa. Così l’ho spento, ho staccato anche la spina dello stereo, del ricevitore satellitare (che pure era spento), del lettore di dvd e di altri apparecchi che tengo impilati là sopra sempre collegati alla corrente. Lo so che consumano anche quando sono spenti, se non altro per quelle lucette verdi, rosse o blu che restano sempre accese. Nessuno aveva mai fatto il calcolo di quanto ci fanno spendere, ci ha pensato Pierluigi Bernasconi, l’amministratore delegato di Media World Italia che di apparecchi come quelli ne vende a milionate e ha commissionato un test sul campo. Che ha scoperto Bernasconi? Che una televisione lasciata in stand-by (cioè con la lucetta accesa) consuma da uno a quattro euro l’anno di elettricità. Che il decoder della televisione consuma da 5 a 20 euro l’anno solo per stare lì fermo. Uno dice: è poco, chi se ne frega, posso permettermelo, ma moltiplicate queste cifre per i milioni di abitazioni italiane e otterrete cifre miliardarie. Un computer portatile collegato alla spina di corrente ci costa 10 euro l’anno, la radiosveglia 9. Bernasconi ha un consiglio per tutti quelli che tengono anche agli spiccioli: comprate le ciabatte, cioè quelle spine elettriche multiple con l’interruttore rosso che si può spegnere all’occorrenza tagliando dalla rete elettrica tutti gli apparecchi che sono collegati. Lui vende anche quelle.
Non si capisce perché i produttori di elettrodomestici non prevedano la possibilità di spegnere quelle lucette, lasciando a noi consumatori la responsabilità di attrezzarci per mettere rimedio a questo difetto. Ma in attesa di comprarmi una ciabatta dovevo risolvere il mio problema: qualcuno mi stava rubando l’energia elettrica. Con la speranza di aver eliminato ogni fonte di consumo, sono tornato al piano terra per controllare il contatore: girava. Piano, molto piano, ma girava.
Allora sono risalito furioso e - sentendomi intelligente - ho preso un cacciavite, ho smontato il termostato elettronico installato alla parete e ho strappato i fili dell’alimentazione finché ho visto scomparire il numero 20 che indicava la temperatura (un po’ troppo caldo). Lo stesso ho fatto con il citofono. Ma là sotto il contatore girava ancora. Piano, molto piano, ma girava.
Allora - sentendo da lontano che mi era arrivato un messaggino - m’è venuta l’illuminazione e ho pensato al telefonino cellulare che avevo lasciato in bagno attaccato al caricatore e di tanto in tanto succhiava corrente per caricare la sua pila. Eccolo il colpevole del furto, maledetto cellulare. Quando c’è qualcosa che non va, lui c’entra sempre.

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04 marzo 2008

Quando Google ti ama

Alfred Vedovelli è il sindaco di Egna (Bolzano).
Un giorno - poiché ero stato multato mentre viaggiavo lungo una via di Egna - gli ho scritto un'email di protesta. E lui non mi ha risposto. Indispettito ho raccontato la storia sul mio blog.
Da quel giorno è passato qualche mese. Ora, digitate le parole "Alfred Vedovelli" su Google e scoprirete che per il popolo di internet lui è prima di tutto l'uomo che non ha risposto alla mia lettera.

Gustavo Selva è un famoso giornalista.
Parliamo di uno che quando ha fretta usa l'ambulanza come se fosse un taxi, ricordando i bei tempi in cui era un giornalista d'assalto. Siccome anch'io sono un giornalista (e non volevo essere da meno) sono salito su un'ambulanza fingendomi malato e ho raccontato la storia sul mio blog.
Da quel giorno è passato qualche mese. Ora, digitate le parole "selva giornalista" su Google e scoprirete che il vero Selva giornalista sono io (Andrea) e non il noto Gustavo, che per il popolo di internet arriva solo al secondo posto.

Le Camper sono una linea di scarpe casual.
Io ho un paio di scarpe Camper che dall'ottobre 2006 fotografo spesso e volentieri per documentare sul mio blog i luoghi che calpesto. Da quel giorno sono passati vari mesi. Ora, digitate le parole "scarpe camper" per cercare un'immagine su Google e scoprirete che le prime venti fotografie sono tutte dei miei piedi (e non delle calzature prodotte dalla multinazionale).

Sarò sincero: tutto questo mi stupisce MOLTO, mi diverte PARECCHIO e un PO' mi preoccupa.

Morale numero uno: non fatemi mai arrabbiare.
Morale numero due: non fate mai arrabbiare qualcuno che abbia un blog con piattaforma Blogger (cioè Google).
Morale numero tre: quando cercate qualcosa su Google (credendo che sia Dio) tenete sempre a mente questa storia.
Morale numero quattro: se non riuscite a diventare famosi nella vita reale potete sempre giocarvi la carta di internet; se anche lì non riuscite a sfondare consolatevi: forse le vostre scarpe sono delle star mondiali e nemmeno lo sapete.

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26 febbraio 2008

Vacanze da incubo

Con lo stesso spirito con cui a Ferragosto accendo il televisore per guardare le code dei turisti in autostrada, ieri ho preso in mano il catalogo di viaggi e vacanze che un'agenzia trentina mi ha spedito. Mi credono un cliente e due o tre volte l'anno mi sottopongono le loro proposte per conoscere il mondo, mangiare cibi nuovi o rilassarmi. Così, con quei due libretti colorati in mano, mi sono seduto in poltrona a fantasticare su quante cose potrei vedere se decidessi di affidarmi – finalmente – ad un professionista. Tra quelle pagine scritte in un linguaggio strano ce n'è veramente per tutti i gusti: potrei riposarmi nei dintorni di Ischia (restando distante però qualche chilometro), passeggiando in un lussureggiante parco e mangiando a pranzo e cena menu disintossicanti. Girando pagina mi sono visto a Milano Marittima, in un albergo familiare, su una terrazza ombreggiata da pini secolari, dotata (addirittura) di panchine e tavoli dove avrei potuto sorseggiare in totale tranquillità niente meno che un aperitivo, sapendo che a cena avrei sempre potuto contare su piatti internazionali tipici romagnoli (?).
Poiché non mi piace affidarmi al caso ho scartato l'hotel di Igea marina dove alcune camere hanno la vista mare, sapendo che quelle stanze finiscono sempre ai vicini. L'albergo-club di Gabicce mare l'ho depennato dalla lista perché temevo di restare vittima di quelle “piacevoli sorprese come serate a tema con piatti e ambientazioni speciali ed originali”. Conosco i miei limiti e so che non reggerei all'emozione di essere chiamato sul palco da un animatore vestito da Capitan Uncino.
Passando per hotel che offrono televisori piatti anche nei bagni e altri che promettono phon professionali oppure box doccia multifunzione mi sono imbattuto in una struttura che non deve saperne molto di bambini, visto che il piatto forte del baby-menu era il passato di verdure. Ora so che a Tortoreto Lido posso contare su “una colazione rinforzata dolce e salata”, che a Giulianova c'è una non meglio precisata “Bambinopoli” e la sera posso abbassare le saracinesche elettriche proprio come se fossi il titolare di un negozio. Tra alberghi in posizione splendida o comunque molto favorevole, strutture che offrono l'acqua minerale gratis ai pasti (ma solo mezzo litro, poi scatta il ticket) ho scoperto che all'estero – dove offrono sempre qualcosa in più – potrei contare addirittura sulla Biberoneria, forse un posto dove si servono ottimi drink nel biberon.
Un po' disorientato mi son detto che la vacanza sedentaria sarà anche comoda, ma preferivo un viaggio itinerante alla scoperta di nuovi orizzonti. Nessun problema: ecco per me l'altro libretto, che la mia agenzia di fiducia ha dedicato ai viaggi in Europa e nel Mondo. In pullman. Se solo non fossi così pigro potrei salire in corriera a Trento il venerdì, visitare Atene e tornare a casa il martedì: un viaggio lampo che prevede quattro giorni di trasferimento (traghetto compreso) e una giornata dedicata alla capitale greca al modico prezzo di 689 euro, escluse le slot machine che troverò sul traghetto per ingannare il tempo durante le due notti a bordo.
Patti chiari e amicizia lunga: i posti sul pullman (vedi regolamento) si decidono al momento dell'iscrizione e poi è vietato cambiarli, nemmeno se farete parte dell'ardimentosa pattuglia che il 9 agosto partirà da piazza Dante diretta in Norvegia per una corsa di nove giorni che darà il diritto di dichiarare: “Ho visto i fiordi”. Si tratta di un viaggio di oltre 5 mila chilometri, insomma come andare da Trento a Roma ogni giorno, mangiando all'autogrill, ma poiché in mezzo ci sono anche i traghetti scandinavi il prezzo lievita a 1.699 euro (che è pur sempre meno di 1.700). Se volessi qualcosa di più avventuroso potrei fare Trento-Vienna-Bratislava-Budapest-Trento in quattro giorni, sempre in pullman, sempre a posti fissi. Quando ho letto che l'organizzatore mi garantiva un “giro orientativo della splendida capitale austriaca” ho chiuso il libretto spaventato: anche quest'anno si andrà allo sbaraglio, perché una vacanza da incubo riusciamo ad organizzarla benissimo da soli.

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18 febbraio 2008

Il prezzo di un figlio

Sarebbe una gran comodità acquistare i figli al supermercato, invece che al reparto di maternità, ma ci sarebbe una controindicazione in grado di scoraggiare anche le coppie più motivate: il prezzo. I piccoli starebbero lì, sugli scaffali del reparto infanzia, biondi, mori, chiari e scuri, con una targhetta attorno al polso, come quella delle ostetriche ma con una differenza: invece del nome ci sarebbe scritto sopra 200 mila euro. Questo è il prezzo giusto secondo un docente universitario fiorentino che al tema dedicò una ricerca. Gli unici a non stupirsi sono i padri separati che sanno bene quanto versano ogni mese su ordine del giudice (almeno quelli onesti) per il mantenimento dei figlioli finché non saranno in grado di badare a sé stessi. Di buono c’è che il conto non si salda alla consegna (e chi se lo potrebbe permettere?) ma in comode rate che concedono all’acquirente un respiro sufficiente per pensare di avere fatto un buon affare.
Io ogni mese pago una di queste rate. L’altro giorno mi sono tolto la soddisfazione di lasciare senza fiato una coppia che ancora - sebbene interessata - non si è decisa a procedere all’acquisto. Abbiamo preso i miei estratti conto degli ultimi due anni e abbiamo tirato una riga sotto la voce asilo: facevano quasi 12 mila euro, in comode rate da 500 euro al mese. Silenzio in sala.
Risparmio ai lettori la voce passeggino (600 euro), perché in fondo non serve comprare l’ultimo modello; sorvolo sulla voce pannolini (1.500 euro) perché ora vanno di moda i modelli riciclabili, che dopo l’uso si gettano in lavatrice, rispettano l’ambiente e fanno risparmiare, ma io sospetto che i loro sostenitori non conoscano l’impulso irresistibile che porta a gettare nel cassonetto un pannolino pieno (una liberazione che non ha prezzo); tralascio la voce dottore perché le visite mediche sono (quasi) tutte gratuite e posso tranquillamente omettere la voce latte perché l’allattamento al seno riduce i costi a zero.
Il professore fiorentino - un padre separato, protagonista di una battaglia per dividere con l’ex moglie i costi della prole - ci avvisa che i dolori vengono più avanti. Alimentazione: un figlio maschio adolescente consuma quantità di cibo impressionanti. Dentista: c’è chi deve prendere i soldi in prestito per pagare l’apparecchio del figlio. Istruzione: non ci sono solo i libri, poi arrivano anche i viaggi di studio all’estero. Vacanze: ci vanno tutti, anche tuo figlio un giorno ti chiederà un biglietto aereo per l’America o l’Inghilterra. La voce trasporti prevede nell’ordine: triciclo, trattore a pedali, bicicletta a rotelle, bicicletta senza rotelle, bicicletta grande, motorino, motocicletta e automobile.
Ma nel bilancio non ci sono solo le uscite. Con quella coppia interessata all’acquisto (ma non ancora decisa) abbiamo continuato a esaminare l’estratto conto rilevando con sorpresa alcuni risparmi: niente più conti del ristorante, niente più biglietti del cinema, niente più serate a teatro, eliminati i viaggi aerei, venduta anche la moto. Silenzio in sala.
La voce imprevisti può riservare però amare sorprese, ad esempio quando il figlio prende il telefono cellulare e per fargli il bagnetto lo mette a mollo nel wc. Oppure quando trascina il computer portatile giù dal tavolo tirandolo per il cavo. Il genitore previdente saprà ricavare in bilancio riserve sufficienti anche per coprire le emergenze.
Non sono cose nuove, tanto che la saggezza popolare ha coniato nei secoli un verbo anomalo per indicare l’atto di mettere al mondo i figli. Una parola che però - alla luce di quanto abbiamo scritto - suona come un corretto avvertimento: “comprare”. Perché in alcuni posti della montagna veneta e trentina i figli si “comprano”. Ma al termine di questa disquisizione ragionieristica sui risvolti economici di procreare è ancora il professore fiorentino che ci viene in soccorso indicandoci perché - nonostante il salasso economico - dopo il primo figlio è giusto, tutto sommato, farne un altro: il fatto è che dopo l’investimento iniziale il secondogenito, conti alla mano, costa il 30 per cento in meno. Insomma: un vero affare.

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01 gennaio 2008

Tempo di bilanci

Era duro, l'inverno del 1933. Quella sera, arrancando verso casa attraverso fiamme di gelo, con le dita dei piedi che mi bruciavano, le orecchie che andavano a fuoco, e la neve che mi turbinava intorno come un nugolo di suore furibonde, mi fermai di colpo. Era giunto il momento di tirare le somme. Con la pioggia o col sereno c'erano delle forze al mondo che cercavano di distruggermi.
Dominic Molise, mi dissi, aspetta un attimo. Sta andando tutto secondo i tuoi piani? Esamina attentamente la tua condizione, considera obiettivamente il tuo stato. Che succede, Dom?
Vivevo a Roper, Colorado, e invecchiavo di momento in momento. Avrei compiuto diciotto anni di lì a sei mesi, e avrei preso la maturità. Ero alto un metro e sessantadue, e negli ultimi tre anni non ero cresciuto di un solo centimetro. Avevo le gambe arcuate, i piedi a papera, e le orecchie a sventola come quelle di Pinocchio. I miei denti erano storti e la faccia lentigginosa come un uovo di uccello.
Ero figlio di un muratore disoccupato da cinque mesi. Non avendo un cappotto, mi mettevo tre golf, e mia madre aveva già cominciato una serie di novene per il vestito di cui avrei avuto bisogno a giugno per l'esame.
Signore, dissi, perché in quei giorni ero un credente che parlava con franchezza con il suo Dio: Signore, che sta succedendo? E’ questo quello che vuoi? E’ per questo che mi hai messo sulla terra? Non ho chiesto io di nascere. Non c'entravo per niente, salvo che ora sono qui e ti sto facendo domande oneste, ti chiedo i motivi, per cui dimmi, mandami un segno: è questo il premio per cercare di essere un buon cristiano, per dodici anni di catechismo e quattro di latino? Ho mai messo in dubbio la Transustanziazione, la Trinità, o la Resurrezione? Quante messe ho perso la domenica e le feste comandate? Le puoi contare sulle dita, Signore.
Stai giocando con me? Ti sono sfuggite le cose di mano? Hai perso il controllo? Lucifero ha riguadagnato potere? Sii onesto con me, perché sono sempre preoccupato. Dammi un segno. Vale la pena di vivere? Le cose si aggiusteranno o no?


Ovviamente non l'ho scritto io, ma se in questi giorni di festa, bilanci e buoni propositi qualcuno ha tempo a disposizione gli consiglio di leggere qualcosa di John Fante. Quello qui sopra è l'incipit di Un anno terribile. ma per partire forse è meglio "La confraternita dell'uva" oppure "Aspetta primavera Bandini".

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17 dicembre 2007

La settimana del signor G.

Il primo giorno di sciopero dei camion il signor G. ascoltò la notizia dei blocchi stradali alla radio, mentre di buon mattino guidava la sua auto per andare al lavoro, e pensò che era una cosa seria. Allora lui - che si vantava di essere un tipo previdente, non per niente nel 1973 quando non aveva ancora trent'anni era passato attraverso la crisi energetica, quelle sì che erano emergenze - mise la freccia a destra e per non sbagliare si fermò alla stazione di servizio a fare il pieno di gasolio: «Dovrei averne per una settimana almeno» disse soddisfatto mentre laggiù al casello autostradale vedeva formarsi le prime colonne di tir.
La sera di quel giorno, ascoltando il radiogiornale, il signor G. pensò che era davvero una cosa seria e si chiese - previdente com'era - se non fosse il caso di studiare un percorso alternativo per il giorno successivo. Avrebbe potuto telefonare al dottore del piano di sopra per accordarsi e dividere in due l'uso dell'auto risparmiando in questo modo il carburante oppure (a mali estremi, estremi rimedi) andare al lavoro con la moglie come non accadeva ormai da vent'anni sebbene facessero, su per giù, la stessa strada: «Deciderò domani mattina» stabilì. E più non ci pensò.
Il secondo giorno di sciopero dei tir, ascoltando la radio mentre viaggiava solo nella sua grande auto con il serbatoio pieno, il signor G. si sentì molto intelligente perché mentre il giornalista raccontava del latte che cominciava a scarseggiare gli venne in mente quel distributore automatico gestito dal contadino del paese dove avrebbe potuto rifornirsi. Ma per non sbagliare mise la freccia a destra e si fermò all'ipermercato dove, previdente come non era stato mai, riempì il bagagliaio di ogni genere di prima necessità che gli veniva in mente, senza badare al prezzo né al luogo di provenienza perché non era certo quello il momento di andare per il sottile. Acquistò anche tre confezioni d'acqua minerale perché non era mai stato convinto che nella sua zona l'acqua del rubinetto - come gli dicevano - fosse la stessa che poi finiva imbottigliata.
La sera di quel giorno, quando ormai era chiaro che l'Italia (Trentino compreso) era in piena emergenza, il signor G. placò l'ansia da automobilista ricordandosi di quegli articoli sulle auto a gasolio che viaggiano con l'olio di semi nel serbatoio, proprio quello in vendita al supermercato: «Mal che vada mi salverò con un paio di bottiglie» pensò rilassandosi sul sedile.
Il terzo giorno di sciopero dei tir - dopo aver gonfiato le gomme della bici che non usava più dal 1973, ma che ora poteva tornargli utile - il signor G. si mise al volante e dopo aver collegato il telefonino al vivavoce (oltre che previdente era un tipo diligente) chiamò l'azienda dei trasporti che lo rassicurò spiegandogli che da casa sua alla città c'era (sorpresa!) un autobus ogni venti minuti e che loro non avevano certo problemi con le scorte di gasolio.
La sera di quel giorno, leggermente diffidente, il signor G. apprese dall'autoradio che i camionisti erano vicini ad un accordo con il governo, ma non volle abbassare la guardia e si coricò beneficato da un'improvvisa illuminazione: «Il treno!» pensò. Quel trenino per pendolari che fermava alla stazione del paese ma che lui - immaginando carrozze piene di massaie e giovani studenti - non aveva preso mai: «Domani potrebbe essere il giorno giusto» mormorò. E dormì beato.
Il quarto giorno di sciopero dei tir il signor G. - seduto nell'auto familiare dove viaggiava sempre solo - apprese che lo sciopero era finito e tirò finalmente un sospiro di sollievo osservando la lancetta del serbatoio semi pieno che lui vedeva mezzo vuoto: basta con gli autobus, car-sharing, bicicletta, carburanti alternativi e addirittura il treno. Dopo una settimana di passione (maledetti camionisti, come si permettono di mettere i pali tra le ruote alla gente che lavora?) poteva tornare, finalmente, alla normalità.

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08 dicembre 2007

La lampadina fulminata

E' stato un sabato bestiale. Tutto è cominciato l'altra sera quando il vicino – con cui da qualche anno siamo rivali – ha inaugurato la stagione delle feste dando corrente alle luminarie che (sospetto) aveva montato sui balconi già in agosto per non arrivare secondo al grande appuntamento. Così – mio malgrado – sono salito in soffitta a recuperare quello scatolone impolverato in cui teniamo due file di luci di Natale. Dopo una mezz'ora impiegata a sciogliere i grovigli (resta un mistero come i cavi elettrici riescano ad annodarsi in qualunque modo vengano riposti) ho trattenuto il fiato mentre infilavo la spina nella presa di corrente: luce! Ma è stata la seconda fila a tradirmi, priva di vita al primo, secondo, terzo e quarto tentativo finché – ormai in preda allo sconforto – mi sono rassegnato al peggio. Incapace di trovare la lampadina fulminata ho raccolto il cavo e sono corso al negozio, sorvegliato a vista dal vicino che si godeva dal balcone il suo imponente Gran Pavese.
Pensavo di cavarmela sostituendo la lampadina rotta ma poiché noi – inteso come noi uomini moderni – non abbiamo tempo da perdere, ho scoperto che bisogna cambiare l'impianto in blocco, anche perché i cavi come il mio li producono a Taiwan e poi li spediscono in Europa a bordo di una nave. Le lampadine di riserva invece no, le tengono per loro.
Non saranno venti euro a mettermi sul lastrico, ho pensato di fronte al commesso un po' impaziente: “Va bene” ho detto. Ho pagato e sono rimasto a gironzolare nel negozio con due cavi in mano, anche quello guasto, senza riuscire a rassegnarmi a gettare tutte quelle lampadine “mute” sapendole buone (tranne una). Restare è stato l'errore che ha fatto del mio sabato un sabato bestiale. Credevo di avere un televisore quasi nuovo ma ho scoperto di tenere in soggiorno un cassone obsoleto che in poco tempo – giura il commesso – sarà inutilizzabile. Credevo di avere una telecamera decente e ho scoperto di essere il triste proprietario di un giocattolo buono al massimo per immortalare i compleanni visto che – tanto per dirne una – registra le immagini sul nastro invece che su un disco rigido. Credevo di avere un computer al passo con i tempi e ho scoperto che l'apparecchio su cui scrivo gli articoli sarebbe in realtà una scatola imbarazzante per cui – giura il commesso – tra un po' non ci saranno nemmeno in giro i programmi (sic!). Per darmi un tono ho tirato fuori il telefonino (nel ramo telecomunicazioni pensavo di andare sul sicuro: fotocamera, telecamera, lettore musicale, scheda di memoria da due giga) ma l'ho rimesso in tasca al volo quando ho visto un ragazzino, avrà avuto sedici anni, tenere in mano il modello successivo che è doppio in tutto, prezzo compreso.
Lì, in quella giungla di cartelli, offerte e concessioni di pagamenti agevolati, confesso di essermi sentito un po' sfigato. Ho iniziato a immaginare la mia nuova vita con un televisore a schermo piatto appeso al muro. Dimenticando che la sera io lavoro mi sono visto fortunato proprietario di un pacchetto di programmi, calcio compreso (che non guardo), per consolarmi con il telecomando in mano di quant'è dura l'esistenza. E se ancora non mi bastasse – lei mi pare un tipo esigente: parola di commesso – potevo sempre accendere l'home theatre, per godermi un film come se fossi in platea (tanto ormai – dice il commesso – al cine chi ci va più?).
Mi sentivo preso in trappola quando dal cesto dei dvd un po' vecchi e superati, quelli in vendita a 9,90 euro, mi è venuto in soccorso quel film del 1999 in cui Brad Pitt, protagonista di Fight Club (non solo un film, un vero inno contro il consumismo) appoggia la birra al tavolo e dice: “Ehi amico, le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Ciao commesso – gli ho detto – devo pensarci sopra un po'. Così sono corso a casa e prima ancora di rispondere al fuoco luminoso del vicino mi sono rivisto – per la terza volta – Surplus, un documentario di Erik Gandini che le televisioni commerciali non trasmettono (perché non trovano nessuna azienda disposta a metterci la pubblicità nelle pause, ma su internet si trova) che spiega perché, soprattutto quando le strade si riempiono di luci e colori, ci coglie l'ossessione del consumo.

P.S. all'inizio di Surplus (che in Google Video è pubblicato integralmente anche se a bassa risoluzione) vedrete molte immagini girate a Genova nel 2001.

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03 dicembre 2007

Vittima dell'autovelox

Sono una vittima dell'autovelox di Egna, uno dei 19 mila automobilisti che nel giro di dodici mesi ha versato 2 milioni di euro nelle casse del piccolo Comune, anche se in realtà le 19 mila multe non corrispondono ad altrettanti cittadini: io - ad esempio - sono stato fotografato due volte in pochi giorni. Dopo la seconda multa, essendo una persona civile, ho accantonato il desiderio di prendere a mazzate quell'occhio elettronico che mi scruta quando passo, ho rinunciato a comprare una bomboletta spray per dipingere il mio dissenso sulla facciata del municipio, ho scartato l'idea (che pure mi era sembrata buona) di sfrecciare sulla statale a 140 all'ora con la targa coperta dalla scritta "bye bye sindaco". Ho acceso invece il computer per scrivere una lettera e dire gentilmente ciò che penso al primo cittadino, Alfred Vedovelli. Poiché non mi ha risposto (e poiché ieri non potevo essere assieme ai miei "colleghi" che in segno di protesta sono sfilati, molto lentamente, per le vie di Egna) eccomi qui a lamentarmi.
Prevedo già il moto di ribellione del lettore che giunto a questo punto dirà: «Giornalista, hai sbagliato, paga e fai silenzio». E invece no, la vicenda merita approfondimento. In quel di Egna ci sono due autovelox: uno sulla statale del Brennero (l'incubo di migliaia di automobilisti) e l'altro sulla statale delle Dolomiti (l'incubo mio e di molti altri trentini diretti in val di Fiemme). Parlerò, naturalmente, del secondo. Quel modello Traffiphot installato in centro abitato per verificare che le auto rispettino il limite di 50 all'ora. Ebbene in quel tratto di strada c'è da tempo immemorabile anche un semaforo "intelligente" che dà il via libera alle auto rispettose dei limiti e ferma quelle fuorilegge: quel giorno - è il caso mio - mentre il semaforo mi dava il via libera l'autovelox mi fotografava mentre superavo il limite di un chilometro (all'andata) e di tre chilometri (al ritorno).
Prendere una multa dove si sa che c'è un autovelox è da stupidi. Prenderla per un chilometro in più è da Fantozzi. Prenderla mentre un semaforo ti rassicura sulla tua (presunta) lentezza fa disperare. E così mi sono sentito io quando mi sono arrivate a casa - una dopo l'altra - due lettere verdi con il conto di 96 euro da pagare. Con quei foglietti in mano mi sono rivisto come in un film viaggiare lento, lentissimo, su quella strada che percorro mille volte, con l'occhio incollato alla lancetta fissa sui 50 all'ora, certo che non avrei mai preso la multa. Anche perché non pensavo che ci fosse in giro qualcuno così perfido da tarare l'autovelox per fare le foto a chi supera il limite di un chilometro appena. E invece c'è. A Egna.
Sentendomi stupido ho composto il numero di telefono che c'era sulla multa perché, come tutti i multati, dovevo urlare a qualcuno il mio dissenso. Ero pronto a insultare il mio interlocutore e invece - sorpresa - mi sono scoperto a consolare prima una donna e poi un uomo che hanno avuto la sventura di rispondere al telefono: «La prego di scusarci - mi hanno detto - non siamo noi che decidiamo queste cose, fa tutto il sindaco. Noi gliel'abbiamo detto che tutto questo ci pare esagerato. Telefonate come la sua ne arrivano ogni giorno, non sappiamo più cosa rispondere, se la può consolare sappia che Vedovelli non risponde nemmeno a noi. Tenga conto che è in buona compagnia: stupidi come lei ce ne sono 19 mila». Ah. Io per la cronaca - caro sindaco - ero il numero 13.014 e 14.027 e quello che mi fa rabbia non sono i soldi che ho dato al Comune di Egna e che saranno usati per il terzo autovelox ma la pingue percentuale pagata ai proprietari (privati) della diabolica macchinetta. A Vedovelli due consigli: 1) rispondere alle lettere non è un dovere ma segno di buona educazione; 2) se vuole battere cassa faccia come il doganiere di quel famoso film con Benigni e Troisi: chi siete? cosa portate? sì, ma quanti siete? un fiorino! Almeno ci faremo una risata.

P.S.: si intitolava Non ci resta che piangere.

P.S.: QUI trovate tutto sul famigerato autovelox.

P.S.: dimenticavo, terzo consiglio al sindaco Vedovelli: perché non si dota di questo modello evoluto di autovelox?

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29 novembre 2007

Questione di stile

Sono qui che mi concedo una fetta di pane tostato con il miele, leggendo la Repubblica fresca di stampa ed ecco che l'occhio mi cade su un articolo di Alessandra Longo che passando al setaccio le cronache politiche dei giornali locali ha trovato queste perle di eleganza, registrate in consiglio comunale a Padova. Non resisto, prendo la macchina fotografica, le voglio condividere (cliccare sulla foto per vederla ingrandita).

articolo repubblica

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26 novembre 2007

I sommelier del latte

sommelier del latteUna nuova categoria di sommelier sta crescendo accanto agli esperti del vino che da anni popolano il Trentino: i degustatori del latte crudo. Si possono trovare, armati di bottiglia a collo largo, a nord della città, preferibilmente la sera quando cala il sole e arriva da Aldeno il furgone carico di un centinaio di litri di latte appena munto. Non basta lo sconto (un euro al litro, quando il latte d'alta qualità ne costa in negozio 1,26) a spiegare perché un padre di famiglia prende l'auto e va in periferia a fare il pieno al distributore automatico. E' più probabilmente una reazione allo scippo dell'industria che per anni ci ha fatto credere che il latte sia un prodotto asettico che chissà come esce dalla centrale finito, inscatolato, sterilizzato e senza grassi. Al distributore invece no: si tratta forse del metodo d'acquisto che più avvicina il consumatore alle mammelle della vacca, ad eccezione della stalla che - diciamo la verità - con il suo odore di letame, lo sporco e d'estate anche le mosche farebbe passare l'entusiasmo anche alla naturalista più convinta.
C'è chi, riempita la bottiglia, assaggia subito il prodotto e nonostante sia gelido per esigenze sanitarie si lascia andare e commenta: «Senti, senti che bontà, è ancora caldo!». E poi, magari, il sommelier del latte si spinge oltre commentando l'aroma delle erbe che, dice, percepisce sul palato assaporando l'alimento (non chiamatelo bevanda).
Non deludete mai un sognatore nel pieno della sua attività, ma se in un giorno di novembre sentite un giudizio del genere ("senti l'erba!") sappiate che è falso perché le mucche stanno nella stalla dalla mattina alla sera e quello che mangiano sa di erba molto, ma molto alla lontana. Di erba, e fieno fragrante ne riparliamo quest'estate.
Al sommelier del latte, mentre misura la quantità di grasso (panna!) che gli resta sul palato, lasciate invece la soddisfazione di sapere, lui sì, che cosa beve: il miglior latte in vendita in Trentino è garantito "made in provincia di Trento". Lui invece sa da che stalla viene, forse ci ha portato i figli in visita, e in fondo gli piace immaginare anche la mucca che l'ha prodotto, sia la Sandra, la Helbe o la Rossella.
Sarà una moda, ma c'è gente che si credeva intollerante al latte (pfui, quell'alimento per poppanti) per poi improvvisarsi bianco sommelier, con l'unica controindicazione di correre al gabinetto alla fine di una degustazione troppo abbondante per un improvviso mal di pancia.
Non chiedete mai all'agricoltore se il suo latte (venduto come mucca l'ha fatto, sebbene raffreddato al volo) sia sicuro: «Ma certo - vi risponderà - non è così che sono stati allevati i nostri nonni?». Dimenticherà però di dirvi, perché ormai non ci pensa più, che i nostri nonni morivano quando non avevano nemmeno settant'anni, più o meno quando noi ora andiamo in pensione, spesso dopo una vita di acciacchi passata a mangiare latte e polenta. Se volete togliervi il dubbio rivolgetevi quindi all'agronomo o al veterinario e vi spiegheranno che se la mucca è sana (e lo è perché viene visitata due volte al mese) non c'è problema, basta consumare il latte quand'è fresco prima che cominci a trasformarsi. Chi non se la sente può bollirlo, ma allora (dopo che sono stati uccisi i fermenti che lo rendono vivo) non ha più senso procurarsi il latte appena munto.
Chissà se i bambini che accompagnano i sommelier del latte a fare il pieno credono che il latte sia il prodotto di un distributore automatico, di certo quando cresceranno si renderanno conto che finché vanno a prenderlo a Trento nord non ci saranno camion che portano latte pastorizzato, sterilizzato, scremato o addirittura liofilizzato dalla Germania o dalla pianura padana a bordo di tir che attraversano le Alpi, avanti e indietro. Non ci saranno tonnellate di plastica, vetro o cartone da raccogliere e (quando va bene) da riciclare, ma soprattutto finché gli allevatori guadagneranno un euro per ogni litro di latte (e non 45 centesimi, o ancora meno, come li pagano le industrie) nelle stalle trentine ci saranno mucche e l'estate i bambini potranno andare sui prati per capire - finalmente - da dove viene il latte.

Post scriptum. Per i lettori più attenti: non è un caso se la fotografia mi ritrae mentre brindo, sebbene con un calice pieno di latte: oggi infatti fuoridalpalazzo! compie un anno. Era il 26 novembre dell'anno scorso quando inviai il primo post con le camper nuove di zecca. Poco è cambiato: oggi ho acquistato i lacci nuovi per le camper (sono lunghi 140 centimetri: una rarità), le ho rimesse in sesto con un po' di lucido per scarpe ed eccole pronte di nuovo per esplorare il mondo. Di suola da consumare ce n'è ancora.
Scrivo molto meno di un anno fa, questo è vero, ma internet è già molto affollata, le idee si perdono, meglio scrivere solo quando si ha qualcosa da dire. In compenso ho messo in evidenza il feed rss, in alto nella colonna di destra, per chi non ha tempo da perdere e vuole collegarsi a fuoridalpalazzo! solo quando ho inviato un nuovo post. Non sai cos'è un feed rss? Dai un'occhiata QUI.
Dimenticavo: grazie per le 49.328 visite!

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18 novembre 2007

C'è da spostare il Natale

C'è una consulenza segreta in materia di turismo che giace nei cassetti di albergatori, impiantisti e qualche politico e che nessuno ha avuto il coraggio, ancora, di tirare fuori tant'è scottante quello che ci sta scritto sopra. Si erano rivolti al grande esperto, un tipo famoso che si esprime solo previa compenso dopo una carriera costruita girando il mondo con i soldi pubblici, si erano rivolti a lui per chiedergli come risolvere la scottante situazione che vede i turisti del Natale prendere l'aereo e volare a poco prezzo in Egitto o in Tunisia per salutare il freddo proprio quando si fa più pungente. "Lui ci dirà - pensarono - come venirne fuori".
E il responso arrivò, puntuale, contenuto in un tomo di 500 pagine che come (quasi) tutte le prestigiose consulenze dicevano cose che (quasi) tutti già sapevano: "Abbiamo sconfessato i profeti delle catastrofi climatiche facendoci la neve in casa" esordiva il luminare. "Abbiamo rimediato alle corte giornate invernali installando sulle piste l'illuminazione artificiale, abbiamo spianato le piste da sci dove i turisti si lamentavano perché c'erano troppe gobbe. Quando ci siamo accorti che la velocità era aumentata abbiamo montato chilometri di reti rosse per evitare che gli sciatori volassero fuori pista (per poi chiedere i danni) e abbiamo costruito bar con musica e alcolici ad ogni cambio di pendenza per non lasciare mai soli i nostri ospiti. Volevano le saune finlandesi e li abbiamo accontentati, volevano il bagno turco e abbiamo deciso di adeguarci, volevano le gite in motoslitta anche di notte e ci siamo fatti trovare pronti, volevano sciare dalla mattina a sera senza mai ripetere nemmeno una volta la stessa pista e per rendere possibile questo sogno abbiamo tirato le funi degli impianti da una vallata all'altra del comprensorio dolomitico. Ma tutto questo pare non basti perché senza la neve, quella vera che scende dal cielo e rende magico il paesaggio, proprio quella che i profeti del meteo annunciano sempre più rara sotto i 2 mila metri di quota i turisti storcono il naso e tentennano.
Leggendo queste righe i committenti furono presi dallo sconforto: tutte cose già note, dette e ripetute, senza uno straccio di soluzione per risolvere il problema. Così saltarono alle conclusioni dove scoprirono che il problema vero era il Natale, questo periodo cupo - almeno su in montagna - con le giornate più corte dell'anno, il termometro in picchiata e troppe feste concentrate in pochi giorni, tra Natale, Santo Stefano, San Silvestro e la Befana: uno spreco intollerabile in tempi magri come quelli in cui viviamo. Senza contare che la neve - scherzo del destino o per chi crede nella scienza: processione equinoziale - tarda sempre più, facendosi vedere quando le feste sono ormai passate. Insomma, concludeva l'espertone, se si potesse spostare il Natale a febbraio, mese ideale per le vacanze con il sole che tramonta tardi la sera, le cime coperte di abbondante coltre bianca e l'aria già più tiepida, sarebbe molto più facile convincere i turisti a trascorrere le feste su in montagna.
Essendo un tipo previdente il consulente metteva già le mani avanti: non si creda che sia poi questo grande scandalo: ci siamo ormai abituati a spostare la lancetta avanti di un'ora per risparmiare energia elettrica, non ci vorrà nulla a mettersi tutti d'accordo e istituire oltre all'ora legale anche il Natale legale con data 25 febbraio o giù di lì. E ancora: che saranno mai duemila anni di tradizione di fronte alle sorti del turismo invernale che mantiene tante persone? Tanto più - conclude lo studio - che un rapido sondaggio ci informa che la maggior parte dei giovani non conosce più l'origine della festa natalizia, quindi una data vale l'altra e febbraio sarebbe un mese assai gradito, soprattutto per le donne, sempre così freddolose.
I committenti si guardarono - qualcuno in realtà un po' tentato - e decisero che di cambiare posto al Natale in realtà non se la sentivano. Non erano abituati a fermarsi di fronte a proposte originali, il progresso non si arresta, ma il super-esperto li trovò comunque spiazzati. Il Natale per quest'anno resta il 25 dicembre, l'anno prossimo chissà, lo si vedrà.

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10 novembre 2007

Piede pesante

 bmw k100rs 16v
Leggo che un signore di 83 anni è stato fotografato sull'autostrada A4 mentre correva a 257 all'ora al volante di una Porsche: "Mi manca la sensibilità all'arto inferiore destro, così mi capita di avere il piede un po' pesante" ha detto agli agenti quando si è presentato per confessare il suo misfatto, un po' zoppicante, con un bastone per aiutarsi a camminare. La notizia non mi stupisce affatto: di nonnini semi-infermi che sfrecciano sulle autostrade italiane sono pieni i verbali della polizia stradale. Vengono tutti puniti con grande severità: via i punti dalla patente, se serve gliela sospendono pure.
Anche mia nonna - quand'era ancora in vita - amava molto correre ma non con l'auto (troppo facile!) bensì su due ruote: nella foto qui sopra vedete una fotografia del contachilometri della mia ex motocicletta (l'ultima, non la penultima che non ho mai dimenticato) scattata a quasi 200 all'ora sulla statale della Valsugana. Erano bei tempi quelli, poi ho deciso di venderla pubblicando questo annuncio e ora la velocità massima che mi capita di raggiungere con il vento tra i capelli è questa. Ma quando avrò 83 anni (e prima o poi li avrò, almeno spero, con o senza Porsche) mi toglierò anch'io la soddisfazione di presentarmi alla polizia stradale e dire con grande faccia tosta: "Eccomi qui, sono io il grande pilota". I miei nipoti me ne saranno grati.

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06 novembre 2007

L'inceneritore domestico

scarpe camper sulla legnaHo un inceneritore in casa e nemmeno lo sapevo. L'ho scoperto l'altro giorno guardando il telegiornale regionale quando, con un occhio al cielo nuvoloso e l'altro al termometro in picchiata già mi preparavo a “stizar”, cioè ad attizzare il fuoco anche se il termine italiano non rende l'idea delle sensazioni che stanno dietro il semplice gesto di accendere la stufa. Sullo schermo c'era un assessore della provincia di Bolzano che spiegava come le stufe a legna siano tra le principali fonti di polveri sottili, di non bruciare cartacce o altri rifiuti perché producono – orrore! – diossina, di andarci piano con la legna verde e di chiamare lo spazzacamino per tenere in ordine la canna fumaria.
Dico la verità: ho avuto una reazione di protesta. Già ci hanno tolto il piacere di friggere nel burro perché i grassi animali ci tappano le arterie, già ci hanno levato la soddisfazione di ubriacarci con la grappa distillata in cantina perché l'alcol domestico è velenoso, se ci spengono anche la stufa o il caminetto che ci resta? In anticipo sui tempi ne avevano già parlato – proprio sulle pagine del Trentino – Mauro Marcantoni e Mauro Colaone: il primo lanciando l'allarme contro le “fornelle” che affumicano i paesi di montagna, il secondo prendendo le difese del riscaldamento a legna moderno e quindi pulito. Mentre alimento l'inceneritore che ho installato qui in soggiorno chiarirò da che parte sto. Questo pezzo di faggio che ora infilerò nella mia stufa danese (e tutti i suoi fratelli che si seccano in terrazza) per l'ambiente ha già fatto molto quando era un albero, assorbendo l'anidride carbonica presente in atmosfera. Ora brucerà, liberando in cielo molecole di Co2, ma non farà altro che pareggiare il conto: non date la colpa a lui se aumentano i gas serra. Inoltre finché ci sarà qualcuno che andrà a tagliare faggi e abeti nei boschi trentini (che sono la metà del territorio provinciale) state sicuri che la montagna resterà, come si dice, coltivata. E le polveri? Legna molto secca, stufe moderne, una certa dose di esperienza per limitare il fumo al momento fatidico dell'accensione, camini efficienti, nel caso di grossi impianti metteteci pure un filtro, aiuteranno a ridurre il fenomeno. Ma sono ben altri i motivi per cui dedico alla mia stufa il pezzo domenicale. Chi si scalda a legna – come il macchinista che gettava palate di carbone nella locomotiva a vapore – ha un'idea piuttosto precisa di quanto costi l'energia. Chi tra di noi sa cosa sono esattamente mille metri cubi di gas metano? Chi sa da dove vengono? Quando leggo il contatore immagino vagamente un'enorme caverna sotto le steppe della Russia e un tubo lunghissimo che arriva fino a casa mia con il rubinetto distante, purtroppo, migliaia di chilometri (anche se facciamo finta che i padroni siamo noi). La legna invece no: ci metto tre giorni ad impilarla d'autunno, la guardo mentre si contorce sotto il sole, la porto in casa quand'è secca, la infilo un pezzo alla volta nella stufa e poi me ne sto lì a guardare la fabbrica del calore mentre lavora a pieno regime liberando un buon profumo. So che ci sono dei filmati in cui si vede un fuoco che arde nel caminetto. Non mi risulta che ne abbiano prodotti, invece, con la fiammella blu del metano come protagonista: un motivo ci sarà. Nei giorni più freddi di gennaio salgo le scale due o tre volte al giorno con il cestone in mano e guardo – preoccupato – la pila che scende a vista d'occhio. Allora invece di girare distrattamente la manopola del termostato ci infiliamo un maglione e chi ha più freddo si fa sotto la stufa, quasi l'abbraccia: tra le sue forme tonde e un termosifone spigoloso non ho dubbi.
Ma quel telegiornale non l'ho guardato invano: delle emissioni del mio inceneritore mi voglio far carico quindi sono salito al piano superiore e da una finestrella aperta sul tetto ho dato un'occhiata ai camini. Bisogna essere onesti: quello del gas era come nuovo, quello della stufa nero come il carbone. Allora ho telefonato in Comune per chiedere i numeri degli spazzacamini, me ne hanno dati una decina e li ho chiamati tutti: la maggior parte aveva cambiato mestiere, gli unici due rimasti avevano un buco libero a novembre e un altro a dicembre. Domani andrò all'Obi a comprare uno spazzolone telescopico, quindi mi infilerò l'imbrago da montagna e farò da me. Male che vada avrò una disavventura da raccontare una delle prossime domeniche.

P.S. nel frattempo mi sono cimentato come spazzacamino... e qui potete vedere il RISULTATO.

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21 ottobre 2007

L'invidia della busta paga

Busta paga, oggetto del mistero che cambia di mese in mese in base a una mole di parametri, tanto che è molto difficile trovarne una uguale all'altra e fare confronti. Ma tutte hanno in comune la proprietà di lasciare insoddisfatti i proprietari, secondo una legge non scritta (ma pienamente dimostrata) che mi enunciò una volta un avvocato da quattro soldi che avrebbe avuto maggior fortuna come psicologo: "I soldi, caro mio, danno assuefazione. Che tu prenda dieci, cento o mille è a quel livello che fisserai il livello minimo di sopravvivenza, anche il giorno successivo al tuo ultimo aumento. E se ti capiterà, un giorno, di fare un salto indietro ti sentirai, insopportabilmente, un poveraccio".
Ci pensavo l'altro giorno sfogliando le pagine di un settimanale che ha dedicato la copertina ai salari degli italiani. In questa corsa al rialzo, che non ammette scivoloni, ci sono i poveri veri che giustamente si lamentano perché con 900 euro al mese non riescono a pagare l'affitto di 600 euro e saldare il conto al supermarket. Ma si lamenta l'impiegato da 1.300 euro al mese che si è dovuto comprare a rate l'ultimo modello di telefonino, non sorride il funzionario da 2.000 euro che senza lo stipendio della moglie (part-time) non ce la farebbe e bisogna comprendere, infine, il medico disperato perché un mutuo da 2 mila euro per la sua villa in collina è cosa che gli toglie il sonno anche se ogni mese l'azienda sanitaria gliene versa più del doppio.
La busta paga è relativa. Così l'amministratore di una società pubblico-privata che ogni tanto mi offre un caffè (so quanto guadagna e non faccio nemmeno il gesto di tirare fuori il portafogli) dovrebbe essere soddisfatto dei 100 mila euro che si aggiungono ogni anno al suo stipendio di professionista. E invece si angoscia perché in giro per l'Italia quelli come lui - tutti a capo di società in perdita - prendono almeno il dieci, venti per cento in più: "Ma ti par giusto?".
Chi vi scrive è sottopagato (ovvio!) e raccoglie di tanto in tanto le confidenze di un padre di famiglia che ha il conto in banca in rosso per pagare al figlio l'affitto in una grande città e le rate dell'università privata: "E' l'unico modo al giorno d'oggi per assicurare a un giovane il futuro". E chi non ha i soldi per mantenere i figli nemmeno alle professionali? Fatti loro.
Ci fu un periodo - un paio d'anni fa - in cui ero molto corteggiato perché sul mio computer custodivo (legalmente) un file enorme con i redditi di tutti i trentini. I guadagni dei ricconi finirono sul giornale, ma ai trentini - stupiti, un po' ammirati, forse scandalizzati di fronte ai redditi da capogiro - interessavano in realtà i guadagni del vicino di casa, di sua moglie o del vecchio compagno di scuola che non erano entrati nell'hit parade. Per questo amici e conoscenti mi telefonavano, con fare un po' carbonaro, e mi chiedevano: "Guarda un po' quanto guadagna il Roberto T....". Fu in quel periodo che maturai un corollario da abbinare alla legge dell'insoddisfazione sulla busta paga: "L'importante è guadagnare un po' di più di chi ti sta vicino".
Avevo iniziato con l'avvocaticchio (così lo chiamano i colleghi, ma io non sono d'accordo) che teorizzava l'assuefazione del denaro e voglio concludere con lui e il metodo che adottò per non restarne schiavo: stabilì che avrebbe lasciato ad altri di lavorare il sabato, la domenica e la sera dopo le sette perché il tempo così guadagnato era una cosa che con i soldi non avrebbe potuto mai comprare. Lo incontrate talvolta a spasso per la città, è quello con la borsa un po' lisa ma - almeno lui - non si lamenta.

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11 ottobre 2007

Predicatori inaffidabili

Dubita di chi predicando bene razzola male: motto ingenuo ma veritiero. Così dovremmo dubitare del Comune che invita le mamme a usare i pannolini lavabili (rispettosi dell'ambiente e soprattutto dei cassonetti dei rifiuti) ma lascia che negli asili comunali si accumulino tonnellate di Pampers usa e getta. Nessuna madre si scandalizzerà per questo, conoscendo bene il fenomeno pannolini che non è opportuno, per ragioni di eleganza, affrontare in questo pezzo. Ma è solo l'ultimo esempio di una lunga serie di inviti destinati a cadere nel vuoto.
Ci dicono che per il bene del pianeta non dobbiamo usare l'auto (meglio il treno) e poi costruiscono gallerie e strade a quattro corsie che portano fiumi di veicoli in città mortificando i binari ferroviari. E come se non bastasse - credendo di fare un favore ai residenti - i consiglieri d'amministrazione dell'Autobrennero annunciano sconti ai pendolari che usano l'auto ogni giorno per andare al lavoro. Chi va in treno o in autobus, invece, paghi tranquillo.
Ci dicono di usare i parcheggi di attestamento ai margini della città e poi - quando il servizio navetta comincia a funzionare - ci fanno pagare il prezzo del biglietto. Prezzo simbolico - hanno spiegato, ed è vero - ma chi intasa la città viaggiando sulla sua vettura lo può fare gratis e a piacimento con la speranza di trovare un posto auto visto che stiamo scavando il sottosuolo in varie zone per trovare spazio alle vetture.
Ci dicono di privilegiare i prodotti trentini e poi scopriamo (anzi l'hanno scoperto i cavatori della valle di Cembra con le lacrime agli occhi) che per rifare l'ingresso di uno dei suoi palazzi più importanti la Provincia autonoma di Trento - regno del porfido - ha usato porfido cinese.
Ci dicono di abbassare di un grado o due il termostato e se abbiamo freddo di metterci il maglione. Ma quando siamo andati a controllare la temperatura negli uffici - termometro alla mano - abbiamo scoperto che ai dipendenti pubblici piace il clima tropicale. Anche a gennaio.
Ci dicono che l'acqua del sindaco è buona, anzi ottima, meglio delle acque minerali in bottiglia, ma quando la chiediamo al ristorante ci squadrano come se fossimo dei pezzenti. Su questo la Provincia ha varato una campagna informativa ma quando politici, professori, oratori e via dicendo si ritrovano a convegno sul tavolo hanno sempre una fila di bottiglie d'acqua industriale. A differenza del porfido, quella almeno è trentina.
Ci dicono che stanno studiando il modo di far conciliare famiglia e carriera a chi lavora negli uffici. Peccato che quando le madri fortunate lasciano la scrivania e corrono all'asilo aziendale a prendere il bambino entri in azione una donna molto meno fortunata a svuotare il cestino, una che lavora metà di giorno e metà di notte, che ha un contratto fino a Natale (ma non prende i soldi da quest'estate).
Ci insegnano che è meglio fare vacanze sostenibili - magari in bicicletta - mentre i politici volano in gruppo a studiare le abitudini degli indiani. La sera tutti a dormire nell'albergo occidentale, uguale a quello che c'è a Parigi, Londra e New York.
Ci dicono di spegnere la lucetta della televisione perché messi tutti assieme quei pallini rossi fanno girare le turbine delle centrali elettriche. Ma quando passiamo in via Rosmini in piena notte restiamo abbagliati dai fari della facoltà di Giurisprudenza che illuminano a giorno il palazzo di Mario Botta.
Ci dicono di salire le scale a piedi: fa bene a noi e fa bene anche all'ambiente. Ma quando ci facciamo indicare le scale di un grande palazzo l'usciere perplesso punta il dito verso una porticina d'acciaio grigia (con la scritta "emergenza") che nasconde una serie di rampe deserte e impolverate dove una donna sola avrebbe paura ad avventurarsi.
Ci dicono tante cose, c'è chi le ha chiamate "cose giuste" e ormai sono di gran moda. Mi sono venute in mente l'altro ieri quando mi è arrivata una lettera per annunciare il ritorno della fiera dedicata a queste azioni: ci sarà la folla tra il 2 e il 4 novembre nei padiglioni di Trento Fiere per la rassegna "Fai la cosa giusta". Sarebbe bello se tra la gente che con grande entusiasmo razzola bene ci fosse anche qualche politico di ritorno da un volo transcontinentale.

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04 settembre 2007

Ecco come farla franca

scarpe camper sul luogo del delittoConosco un investigatore che per deformazione professionale immagina sempre che farebbe se fosse coinvolto - come assassino - in un caso di omicidio. Il caso Cogne era il suo preferito, ma con i gialli estivi che si sono ripetuti in questi giorni - ragazze morte, coppie torturate e infine uccise, corpi trovati nel bosco dentro un sacco - ha avuto un bel da fare a ricostruire scene del delitto, alibi e moventi. E io mi sono prestato volentieri a fare la sua spalla, così, se mai mi capiterà di essere nei guai, saprò come venirne fuori. Per dire la verità lavora in un ufficio e le indagini le conosce - quindi - dai giornali, ma ha molto tempo per ragionare sulle tecniche investigative tanto che ha elaborato un manuale che qui riporto ad uso di chi ha (o prima o poi avrà) la coscienza sporca. E per chi obietta che in questo modo si aiutano i colpevoli a farla franca dico quello che mi dice sempre lui, l'inquirente: «Tra noi e loro è una sfida, dobbiamo prenderli ma non possiamo negargli il diritto sacrosanto di fuggire».
E allora ecco i punti deboli su cui cadono gli assassini. Al primo posto c'è il telefono cellulare che può essere utile a molti scopi. Da quell'apparecchio si capisce con chi avete parlato (quando e per quanto tempo), a chi avete spedito i vostri messaggi, dove siete stati e dove siete in questo momento (sempre che il telefono sia acceso) con un'approssimazione di poche centinaia di metri: se siete dispersi e sperate che qualcuno vi ritrovi un telefono acceso in tasca può tornare molto comodo, ma se siete in fuga liberatevi subito dell'apparecchio senza illudervi che basti cambiare scheda.
Vengono poi le telecamere. Le rapine in banca in questo caso non c'entrano: guardatevi le spalle mentre lasciate la scena del delitto e passate sotto il raggio d'azione della piccola telecamera di un negozio, oppure mentre imboccate l'autostrada sicuri che nessuno vi osservi: una volta - proprio qui in Trentino - hanno arrestato un giovane che aveva appena ucciso la fidanzata a Brescia e l'aveva trasportata nella piana Rotaliana. Gli hanno chiesto: «Dov'eri?». «A casa» ha detto lui, ma è diventato pallido quando gli hanno mostrato il video di una telecamera in autostrada che riprendeva la sua Volvo in viaggio verso nord.
Facciamo finta che su di voi abbiano forti sospetti, tanto che vi hanno già arrestati e portati in caserma per interrogarvi, ma guarda caso vi trattano con i guanti di velluto tanto da mettervi tranquilli in una stanza a parlare con grande discrezione con il vostro complice (hanno beccato pure lui). Tanta gentilezza vi sorprende? Osservazione giusta: probabilmente quel locale è pieno di microfoni, fossi in voi starei zitto senza provare a comunicare a gesti perché da qualche parte hanno nascosto anche una telecamera. Se sequestrano il vostro computer siete nei guai: se siete tipi tecnologici lì dentro troveranno l'intera vostra vita, compresa quella che credevate di avere cancellato gettandola nel cestino.
Denaro. Per un fuggiasco prelevare soldi con il bancomat o con la carta di credito equivale a dire: «Sono qui, venite a prendermi» tanto vale tentare una rapina in banca, anche perché la vostra tessera sicuramente l'avranno già bloccata.
Attenzione infine ai parenti: è tenendo d'occhio i familiari che gli investigatori contano - prima o poi - di acciuffare un latitante. Così arrestarono Peter Paul Rainer - l'altoatesino condannato per omicidio - quando i genitori andarono a trovarlo per le feste nel suo rifugio di Vienna. L'altro famoso latitante altoatesino - Max Leitner, soprannominato il re delle evasioni - non commise lo stesso errore, ma rimase vittima della voglia di casa del suo compagno di fuga meridionale che dall'Africa telefonò in Sicilia per gli auguri di Natale. Presi.
L'ultima cosa che mi insegna sempre il mio amico piedipiatti è che se dopo 48 ore dalla scoperta del delitto non vi hanno ancora incastrato siete salvi: le probabilità scendono quasi a zero. Dice così - e sospira - perché lui è uno che dava la caccia ai criminali ai vecchi tempi, quando il Dna era roba da medici e non da poliziotti, e un po' rimpiange i tempi in cui invece delle tecnologie si usava il fiuto.

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02 settembre 2007

I conquistatori del Piz Boè

ingorgo in alta quotaSe ti piace la folla, se non ti danno fastidio l'odore di sudore e gli schiamazzi, se il rumore dei motori a fondovalle per te è una musica, se consideri il tempo passato in coda un'occasione per riposarti, allora sali ai 3.152 metri del Piz Boè in una domenica d'agosto: troverai tremila persone (per la maggior parte arrivate con la vicina funivia del Sass Pordoi) che hanno avuto la stessa, fantastica, idea. Poi incolonnati sul sentiero che ti riporterà a valle, dove avrai lasciato l'auto nell'immenso parcheggio del passo Pordoi e torna a casa soddisfatto per aver vissuto un'esperienza forte: la montagna usa e getta, quella che le agenzie turistiche propongono a chi non ha tempo per una settimana sulle Dolomiti ma deve concentrare in sette giorni Venezia, Riva del Garda, Innsbruck, il Mart di Rovereto e se la stagione è quella giusta - tappa d'obbligo - i mercatini di Natale. Se invece tutto questo ti rende un po' triste, sali lassù di lunedì, magari anche in funivia (che in fondo è una gran comodità) e bevendo un the caldo sulla terrazza della Capanna Fassa scoprirai un'altra montagna.

P.S. le foto dell'escursione sulla montagna usa e getta sono state pubblicate nella galleria del mio giornale a questo indirizzo: ingorgo a 3 mila metri di quota

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08 agosto 2007

Aut min ric

Signore e signori questa non è pubblicità, questa non è nemmeno informazione, questa è arte: provate - se ci riuscite - a recitare trenta parole nel giro di tre secondi e capirete la bravura dello speaker che per anni ci ha avvisato che i farmaci pubblicizzati alla radio o alla televisione potevano essere nocivi per la salute. Parlo al passato perché quei messaggi superveloci non li ascolteremo più. Questa soluzione all'italiana, in pratica uno sberleffo delle potenti case farmaceutiche allo Stato che pretendeva un'informazione corretta per i cittadini, l'abbiamo sentita per anni alla televisione e alla radio, dove il tempo si misura in euro al secondo e il messaggio obbligatorio per legge veniva compresso al limite della comprensibilità. Chiedetemi la pubblicità di un farmaco e non vi saprò rispondere, ma le speedy avvertenze mi hanno sempre fatto impazzire, come le note scritte in piccolo nelle pubblicità dei mutui bancari: comicità pura. Ebbene, le speedy avvertenze non le sentiremo più, proibite da un decreto legge che vorrebbe tutelare i cittadini. Protesto: così ci tolgono un pezzo della colonna sonora dei nostri tempi, compreso quell'aut.min.ric. che ho voluto mettere nel titolo. Non sono riuscito a trovare una registrazione di quelle trenta parole compresse in tre secondi, così le incollo qui sotto perché - mi sono accorto - fanno un certo effetto anche da scritte. Caro lettore di questo blog, al momento di assumere un farmaco ricorda: prima dell'uso leggere attentamente le avvertenze può avere effetti collaterali non somministrare ai bambini sotto i dodici anni in caso di problemi consultare il medico.
Oh yes!

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