La sfida sulla ciclabile
Bisognerà pur spiegare perché questo blog giace da oltre un mese inanimato. Tutta colpa di una passione antica che è ritornata prepotente e non lascia spazio al resto. Il fatto è che da qualche tempo io e il collega P. ci siamo messi in mente di tornare a scalare i passi dolomitici in bicicletta. Anche uno solo (e poi basta) ma prima dobbiamo farci le gambe sulla pista ciclabile.Così l'altro giorno ci siamo dati appuntamento al ponte di San Lorenzo e abbiamo iniziato a pedalare verso sud, ritmo tranquillo, scambiando quattro chiacchiere. Ma poiché siamo tipi competitivi quando abbiamo visto sfilare due magliette colorate ci siamo lanciati cercando di metterci a ruota. Sfruttare la scia senza mai dare il cambio può sembrare un atto vile, ma a volte non c’è altro da fare. L’abbiamo scoperto al ponte di Ravina quando i due davanti hanno cominciato a pestare sui pedali. All’incrocio del ponte di Mattarello abbiamo sperato che mollassero un attimo, ma quelli - un’occhiata a destra e una a sinistra - hanno ripreso più di prima. Al piccolo cantiere di Besenello ero sicuro che quel cartello (biciclette a mano) fosse la nostra salvezza, ma le due locomotive hanno superato la ghiaia come fosse il pavè del nord Europa e hanno accelerato ancora.
Per evitare di prendere vento tenevo la mia ruota a cinque centimetri da quella che mi stava davanti, insomma gli stavo nel culo, la distanza minima che abbia mai tenuto da un fondoschiena maschile, ma non mi formalizzavo pur di restare agganciato al treno. Cercavo - dai pochi indizi disponibili - di capire chi avevamo di fronte: polpacci depilati, forcella posteriore al carbonio, bicicletta molto costosa, abbigliamento con gli sponsor. Signori e signori giù il cappello: stavamo tenendo il ritmo di due professionisti. Gente di classe, tanto che quando ci avvicinavamo a una colonna di turisti li avvisavano con un fischio secco perché si togliessero di mezzo.
Su un lungo rettilineo, incrociando gente che correva come noi sul nastro d’asfalto, ho cercato di distrarre il cuore che mi supplicava di fermarmi, immaginando che accade a due ciclisti che a testa basta si scontrano frontalmente a 40 chilometri all’ora più 40 chilometri all’ora. Senza casco.
Incollato lì dietro mi chiedevo cos’era quel bip-bip intermittente che si faceva sentire e si zittiva. Poi l’illuminazione, ricordando gli articoli che avevo letto dal barbiere su Bici Sport: era l’allarme del cardiofrequenzimetro. Ho pensato: tra un po’ gli viene un infarto, gli sta bene. Ma invece di rallentare, al suono del bip-bip lui accelerava perché in realtà era il segnale che non stava faticando abbastanza. Andava a spasso. Troppo per me: quando una Cinquecento riconosce una Ferrari cede il passo. Ad andatura lenta siamo arrivati al Bicigrill di Nomi - io e P. - consolandoci l’un l’altro: è gente che va in bici tutte le mattine, non hanno altro da fare, tipi che lavorano sei ore al giorno, non hanno mica i figli da portare all’asilo, magari fanno gare, sicuramente sono dopati. Già, con la condanna per doping abbiamo chiuso il caso ordinando un te’ al limone perché noi siamo gente che al fisico ci tiene.
Solo cinque minuti dopo, quando è suonato ancora quel bip-bip, ci siamo resi conto che nel tavolo accanto c’erano loro, i due campioni. Ne ho riconosciuto uno dal polpaccio secco e lucido: stavano lì a bere due bicchieri di vino bianco ghiacciato (loro), con i capelli bianchi. Due vecchietti. Si sono alzati per tornare a Trento e ci hanno fatto un cenno come per chiedere se volevamo un altro “passaggio”. No grazie, abbiamo risposto, ci riproviamo il mese prossimo.
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Caro Giuseppe Debiasi, proprio tu che ti sei
Cè un motivo ben preciso che porta molti trentini a prendere le ferie nello stesso periodo (anzi in due) creando qualche grattacapo ai capi ufficio e ai direttori del personale. I periodi sono giugno e settembre e il motivo è presto detto: il trentino medio ama andare in ferie in un luogo immacolato (almeno come i boschi e i pascoli a cui è abituato), possibilmente al mare (perché la montagna ce l’ha già dietro casa), ma soprattutto vuoto. Tanto che al rientro in ufficio la lode più sincera e appassionata che un trentino può spendere per raccontare le vacanze suona più o meno così: "Tei, bellissimo, non c’era nessuno".
Ormai ci siamo abituati. Ci telefonano la mattina presto, quando sono sicuri di trovarci, per regalarci due mesi di televisione a pagamento se facciamo l'abbonamento per un anno. Al supermercato ci regalano un prodotto se ne acquistiamo altri due uguali. Quando si avvicinano le vacanze ecco che un'agenzia viaggi ci regala una vacanza per una persona in Tunisia, purché sia accompagnata da un'altra a pagamento. Abbiamo le case piene di atlanti stradali, orologi e radioline ricevuti con l'abbonamento dei giornali e sull'auto c'è il condizionatore omaggio, promesso dal concessionario quando abbiamo firmato l'assegno da ventimila euro. Quand'è Natale facciamo visita agli amici muniti di regalo, ma solo se pensiamo che gli altri facciano lo stesso e quando camminiamo per la strada stiamo attenti a non accettare biglietti, fiori o piccole spille che sarebbero in regalo ma prevedono in cambio una somma di denaro che a quel punto, con un odioso gingillo in mano, non sappiamo più rifiutare. Anche la banca ha un regalo pronto per noi se presentiamo loro un amico disposto ad aprire un conto. Così l'altra mattina non credevo alle mie orecchie di fronte a un regalo “senza se” mentre passeggiavo in centro storico.
Il giorno della fiera di San Giuseppe ci svegliamo di buon mattino e ci illudiamo di essere contadini perché la natura in cui corriamo ad immergerci ogni domenica, per un giorno, ce l'hanno portata giù in città. Allora ci aggiriamo tra i piccoli trattori e le falciatrici, rammaricati perché purtroppo per tagliare l'erba gatta nel vaso sul terrazzo ci bastano le forbici. Quindi con occhio esperto corriamo a vedere gli animali e, sperando di non essere smentiti da un contadino vero, raccontiamo ai nostri figli caratteristiche e schede tecniche di mucche, capre, conigli e puledrini. Poi – dopo aver controllato con occhio languido la sezione arredo giardino, noi che un giardino non ce l'abbiamo – ci dirigiamo verso il centro storico pieno di fiori, sementi, piante e alberi che catturano la nostra immaginazione: “Cara – diciamo con voce sognante – e se quest'anno ci prendessimo un limone?”. Lui – il vivaista che la mattina all'alba ha trasportato i suoi pezzi migliori in piazza Duomo – coglie la palla al balzo e ci spiega che per tirare su un limone o un arancio non ci vuole niente, non serve mica essere in Sicilia o in Israele, basta avere l'accortezza quando arrivano i primi freddi di prendere un telo di plastica e metterglielo sopra prima che arrivi il gelo. Ma anche a noi gente di città – abituati a calpestare il cemento e a respirare polveri – il pensiero di una piantina di limone infilata in un cappuccio da novembre a marzo mette i brividi. Così ripieghiamo su un gelsomino, perché lo sappiamo talmente resistente che a dargli un po' d'acqua (nemmeno troppa in realtà e nemmeno ad intervalli regolari) verrebbe su tranquillo anche in una pietraia. Ma non serve dirlo troppo in giro, meglio invitare gli amici a prendere un caffè sul terrazzo a fine maggio – quando sbocciano i fiori bianchi e profumati – e fingendo indifferenza dire: “Guarda qua, la mia creatura. Sapevi che oltre a fare il giornalista ho pure il pollice verde?”.

Si narra che in una valle dolomitica ai confini fra Veneto e Trentino si combattano in notti come questa battaglie a suon di botti in cui vince chi la spara più grossa, come avviene del resto anche in altri settori. L’appuntamento è per questa sera, ore 24 circa, con qualche anticipo giusto per scaldarsi, quando dalle baite disperse tra i pascoli a 2 mila metri di quota partiranno petardi e razzi che poi lasceranno il posto a bombe in piena regola. Chiariamo subito un concetto: per far casino in un vicolo cittadino ci vuol poco, come sa bene ogni monello. Basta gettare un “raudi” in un cassonetto per far credere a chi dorme lì sopra che siamo entrati in guerra. Per ottenere lo stesso effetto in alta quota, tra i pascoli aperti e le pareti di roccia ben lontane, ci vuole tutt’altro impegno.
Per non restarne vittima ho deciso di affrontare il Natale con professionalità. Così, con largo anticipo, mi sono seduto al tavolo di fronte a un foglio bianco e ho cominciato a compilare la lista di cose da fare entro il 25 dicembre, anzi entro il 23 per non avere brutte sorprese e garantirmi un margine di recupero in caso di emergenze.
C'erano anni in cui l'annuncio di riportare le lancette un'ora indietro evocava notti prolungate (possibilmente tempestose) da godere a letto preferibilmente consapevoli, nel dormiveglia mattutino, del caldo regalo guadagnato in primavera quando quell'ora andò sacrificata.
C'era una volta l'autostop, l'attività di chi alza il pollice a lato della strada per chiedere un passaggio. Ci sono tre motivi per fare l'autostop: necessità, voglia d'avventura o sensibilità ambientalista. Poiché un'auto ce l'ho e le avventure un po' mi spaventano è sempre stato per evitare di muovere invano una vettura che mi sono trovato sul marciapiede, con il pollice fuori, sfidando le frecciate di familiari e amici che consideravano il gesto poco dignitoso.